Le fake news continuano ad essere una minaccia per il panorama digitale. I professionisti dei media sono sempre più a disagio per la diffusione di contenuti fuorvianti e la perdita di qualità dell’informazione.
La disinformazione spaventa anche e soprattutto gli inserzionisti, in quanto mancano linee guida chiare che proteggano le campagne online.
È questo quanto emerge dal nuovo report di Integral Ad Science (IAS), “Misinformation & Media Quality”, che analizza come le informazioni false influenzino il settore della pubblicità digitale.
IAS, società di ricerca sul valore dei posizionamenti pubblicitari, ha intervistato oltre 500 esperti di media digitali. Brand, agenzie, editori hanno risposto a domande volte a comprendere quali siano le sfide poste dalle fake news e quali strategie possano essere messe in campo per contrastarle.
La maggior parte degli esperti di media (73%) è concorde sul fatto che “gli acquirenti e i venditori di annunci debbano evitare attivamente la disinformazione e le fake news”.
Tuttavia, meno della metà (47%) ha riferito di possedere linee guida chiare per quanto riguarda la pubblicità accanto alla disinformazione. I professionisti del settore bloccano interi contenuti per evitare le bufale, nonostante questo abbia un impatto sulla diminuzione della reach potenziale (numero totale di persone che vedono le campagne).
Dai dati emerge che quasi la metà del campione (45%) prevede di bloccare intere tipologie di contenuto. Il 43% bloccherà argomenti specifici e il 38% bloccherà località geografiche in cui la disinformazione è comune.
“Le strategie basate sul contesto, che consentono di evitare la disinformazione con un impatto minimo sulla reach, sono sottoutilizzate”. Meno di un terzo (32%) degli intervistati attualmente utilizza o prevede di utilizzare metodi di targeting basati sul contesto.
Intanto la spesa pubblicitaria continua a crescere. Si prevede che l’investimento pubblicitario totale per i media si avvicinerà a 350 miliardi di dollari nel 2022.
Tuttavia, la maggior parte degli esperti concorda sul fatto che anche la disinformazione sia aumentata, alimentata soprattutto dai recenti sviluppi globali. L’84% degli intervistati segnala livelli di preoccupazione “alti” o “molto alti” per questo motivo.
In particolare, quello che sembra preoccupare maggiormente i professionisti è l’impatto sulla reputazione dell’azienda e la sfiducia dei consumatori.
Secondo il report, persiste l’apprensione per la frode pubblicitaria, la vicinanza a contenuti discutibili e la scarsa visibilità per oltre la metà degli intervistati.
Lo studio mostra, inoltre, che le campagne pubblicitarie si stiano spostando sulle piattaforme social. Quasi la metà (42%) degli intervistati ha individuato i social come una priorità. Tuttavia, più della metà degli intervistati (60%) considera le piattaforme come “l’ambiente più probabile in cui si verificano incidenti di disinformazione”.
Articolo di I.M.
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