La privacy degli utenti in rete è uno dei temi più dibattuti, le istituzioni stanno cercando di porre rimedio con leggi e codici (come il GDPR approvato nel 2018 dall’Ue), ma le big tech ancora fanno enormi ricavi sui dati delle persone raccolti online a seguito delle loro attività in rete.
Google ha annunciato sul suo blog che non venderà più pubblicità in base alle attività di navigazione degli utenti e smetterà definitivamente di farlo grazie a un nuovo sistema in via di progettazione che non prevedrà più l’utilizzo dei cookies. Il tutto entro due anni.
L’attività di tracciamento individuale verrà quindi rimpiazzata da un nuovo sistema di cui non si conoscono ancora i dettagli, ma la società di Mountain View assicura che consentirà ancora agli inserzionisti di indirizzare al meglio la pubblicità verso il giusto target di utenti. Secondo Google, questo nuovo strumento tutela maggiormente la privacy online delle persone e per David Temkin, direttore del prodotto di Google e dirigente posto a capo del nuovo modello di pubblicità online, il cambiamento di paradigma era necessario: “Se la pubblicità digitale non si evolve per affrontare le crescenti preoccupazioni che le persone hanno sulla loro privacy e su come la loro identità personale viene trattata, a rischio c’è il futuro del web libero e aperto”.
“Una volta che i cookies di terze parti saranno gradualmente eliminati”, precisa Temkin nel suo post, “non costruiremo identificatori alternativi per tracciare gli individui mentre navigano sul web, né li useremo nei nostri prodotti. I progressi nell’aggregazione, nell’anonimizzazione e nelle altre tecnologie che proteggono la privacy offrono buone alternative agli identificatori individuali”.
La decisione ha messo in subbuglio l’intero mercato dell’advertising online così come gli editori: i cookies in questione servono per tracciare la navigazione degli utenti su diversi siti e così proporre pubblicità personalizzata.
Quindi questa novità non convince del tutto: “la decisione di Google di non supportare le iniziative di identity del settore rappresenta per editori e creatori di contenuti una pessima notizia. Quasi 5 miliardi di persone si affidano all’Open Internet per accedere a informazioni, news, contenuti formativi e d’intrattenimento di qualità e affidabili. Google ancora una volta ha mostrato la volontà di danneggiare la rilevanza della pubblicità nell’Open Internet. Una mossa che andrà a completo beneficio delle miniere d’oro del motore di ricerca e di Youtube che non verranno per niente influenzati da questa operazione. Siccome nell’Open Internet diventa ancora più difficile erogare una pubblicità efficace o addirittura effettuare una misurazione dell’efficacia, molti degli investimenti pubblicitari entreranno direttamente nelle casse dei giganti del tech a discapito di un internet libero e aperto”, ha infatti dichiarato Konrad Feldman, Co-founder e CEO di Quantcast.
La verità però, secondo alcuni, è che Google non ha bisogno di dati di terze parti perché nei suoi servizi raccoglie la quasi totalità della popolazione su internet e il maggiore introito gli è dato dalla pubblicità che usa i suoi stessi dati. Quindi il motore di rierca più utilizzato al mondo starebbe imponendo una nuova modalità di adv online che andrebbe a discapito dei piccoli: “È chiaro che questo approccio, pensato per tutelare i diritti degli utenti, può portare a creare centralizzazione delle informazioni in capo a unico soggetto a discapito di realtà più piccole”, commenta Mattia Salerno, avvocato dello studio Pirola Pennuto Zei & Associati. “Dal punto di vista pratico, le aziende dovranno comunque investire e potenziare il concetto di omnicanalità valorizzando i propri punti di contatto per raccogliere dati di prime parti. Probabilmente ci sposteremo da campagne adv dato-centriche a un approccio basato sul contesto e su questo si deve cominciare a lavorare”.