Come tutti sanno, le prossime elezioni politiche del 25 settembre non ci consegneranno solo un nuovo, speriamo stabile, Governo.
Ci consegneranno anche un diverso Parlamento, ridotto nei numeri. In tutto, i parlamentari saranno 600, 400 deputati e 200 senatori. Stavo leggendo, poco tempo fa, la storia delle riforme del Senato romano nel I secolo a.C. Silla portò il numero dei senatori da 300 a 600, Cesare lo portò addirittura a 900. Questo sviluppo portò ad un oggettivo indebolimento del Senato (magari non voluto da Cesare, ma di questo non sarei così sicuro).
L’imperatore Augusto riportò il numero a 600 e rafforzò il potere del Senato, instaurando una vera e propria diarchia, un governo del principe e del Senato.
Quindi, pare che la riduzione del numero abbia determinato un potenziamento dell’organo. Sarà così anche adesso? Non lo sappiamo, anche perché la forza di un’assemblea elettiva dipende principalmente dai meccanismi di nomina.
Certo, sarebbe auspicabile un rapporto più equilibrato tra legislativo ed esecutivo, con il Parlamento chiamato a svolgere una continua funzione di proposta, in base alle esigenze che emergeranno dal confronto con la società.
Tante riforme importanti sono arrivate, fino a vent’anni fa, da un Parlamento più forte, anche nel settore editoriale.
A questo proposito, sarebbe importante conoscere l’orientamento delle forze politiche sui temi dell’informazione e dell’editoria. Per esempio, cosa pensano del sistema di sostegno pubblico? Deve continuare? E se sì, in che modo e verso quali tipologie di editori? Non è possibile restare ancorati alle incertezze delle proroghe e pensare di navigare a vista, con interventi estemporanei, improvvisati, privi di una logica di sistema, con il rischio di investire denaro pubblico su interventi improduttivi.
Intendiamoci, il governo ancora in carica ha ben operato, facendo il massimo in una situazione eccezionale.
Ma un Governo che nasce da elezioni, su un programma preciso, deve avere una chiara visione strategica sul settore dell’informazione.
È ora di dichiarare chiuso il tempo degli interventi bollati dalla Corte Costituzionale come “incoerenti” (tra l’altro). Vedremo se il nuovo Parlamento sarà in grado di esercitare finalmente un ruolo attivo.