Un anno di tempo. Un anno di tempo quasi scaduto (era il 26 giugno 2020) quello che il Parlamento ha avuto a disposizione per revisionare l’attuale versione delle norme sulla diffamazione che tuttora prevedono il carcere per i giornalisti.
Il Parlamento non ha concluso nulla e quindi, di fatto, non si è arrivati a una riforma condivisa. Il prossimo 22 giugno è infatti prevista l’udienza della Corte Costituzionale per discutere il tema dell’incostituzionalità del carcere ai giornalisti per il reato di diffamazione (art. 595, comma 3, cod. penale). Al termine la disciplina attuale sarà molto probabilmente giudicata illegittima. Come?
È risultato inutile il monito che era giunto un anno fa dalla Corte Costituzionale, che talvolta si limita a sospendere il giudizio, rimettendosi alla discrezionalità del Parlamento, unico interprete della volontà collettiva, mandando inviti e moniti. Circostanza che sembra verificarsi abbastanza di frequente. Oggi, infatti, ne pendono 25, tra cui si annovera un caso in “incostituzionalità prospettata”. Ovvero la Corte non dichiara subito l’incostituzionalità di una norma pur facendola intendere ma rinvia di un anno l’udienza di trattazione nel merito dando così tempo al Parlamento di disciplinare la materia, che richiede quella discrezionalità nel contemperare i diversi diritti coinvolti che solo il legislatore può esercitare.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia ben quattro volte (negli ultimi 15 anni) per la non compatibilità delle pene detentive per i reati di diffamazione a mezzo stampa con la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
Una sproporzione tra pena e comportamento che è arrivata anche agli occhi della Corte Costituzionale, che nell’ordinanza n.132/2020, ha chiarito che il “bilanciamento è divenuto ormai inadeguato” e che è importante “non dissuadere, per effetto del timore della sanzione privativa della libertà personale, la generalità dei giornalisti dall’esercitare la propria cruciale funzione di controllo sull’operato dei pubblici poteri”.
Dalla Corte costituzionale, inoltre, sono arrivate anche una serie di indicazioni per il Parlamento, le quali invitano a disegnare un sistema di tutela che preveda sia il ricorso a pene non detentive, rimedi riparatori civilistici ed efficaci misure di natura disciplinare. Uno spiraglio veniva lasciato al carcere che avrebbe dovuto sanzionare solo i casi di estrema gravità, con condotte di incitamento all’odio odi istigazione alla violenza.
È molto probabile che il Parlamento faccia scadere il tempo senza agire. Quindi, di conseguenza, sarà la Corte Costituzionale a dover eliminare la norma che prevede il carcere ai giornalisti per il reato di diffamazione. Ma la sentenza non eviterà un ulteriore monito che la Corte invierà al Parlamento: occorre una legge che bilanci una volta per tutte i diritti “contesi” della garanzia della libertà giornalistica e la tutela della reputazione di chi da questa libertà viene leso.
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