“Oggi è una grande vittoria per i cittadini europei e per la giustizia fiscale”. Parole di Margrethe Vestager, vicepresidente della Commissione europea, dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea nei confronti di Google.
La multinazionale americana dovrà pagare 2,4 miliardi di euro per aver abusato della sua posizione dominante, sfavorendo i suoi concorrenti e creando squilibri nel mercato tech.
Le operazioni di controllo nei confronti di Big G erano già iniziate il 27 giugno 2017, ricorda la Corte Ue. La Commissione aveva riportato i risultati delle indagini affermando che Google stesse privilegiando i propri prodotti e servizi in ben 13 Paesi dello Spazio economico europeo (See).
Le modalità erano chiare: l’azienda aveva evidenziato i prodotti nei risultati di ricerca del suo comparatore mettendoli in “boxes” e aggiungendo informazioni “visive e testuali”.
Per questo motivo, l’ammenda inflitta era pari a 2.424.495,000 euro, con un pagamento di 523,5 milioni che doveva essere effettuato da Alphabet, azienda socia di Google. A seguito di questa sentenza, le due società hanno contestato la decisione e si sono rivolte al Tribunale europeo nel novembre 2021 che ha respinto il ricorso, riconfermando l’ammenda.
In un ultimo tentativo, Google e Alphabet hanno proposto l’annullamento della sentenza del Tribunale, che, con la decisione di questi giorni, ha rigettato l’istanza e confermato infine la sentenza del Tribunale Ue.
“Siamo delusi dalla decisione della Corte. Questa sentenza si riferisce a un insieme di fatti molto specifici. Abbiamo apportato modifiche nel 2017 per conformarci alla decisione della Commissione europea e il nostro approccio ha funzionato con successo per oltre sette anni, generando miliardi di clic per oltre 800 servizi di comparazione prezzi”, afferma un portavoce di Google, dopo il ricorso respinto e la conferma della sentenza.
Tuttavia, la Corte Ue, nel suo verdetto, ricorda che l’Unione europea ha il diritto e il dovere di sanzionare lo sfruttamento della posizione dominante ma non la posizione in sé. Dopo averne riconosciuto l’abuso, tramite il restringimento e l’ostacolo della concorrenza e il conseguente indebolimento del mercato, la Corte ha potuto trarre le sue legittime conclusioni decretando “discriminatorio” il comportamento di Google.
Articolo di T.S.
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