A metà 2020 uno studio dell’Ong Avaaz, in riferimento al periodo giugno 2019-maggio 2020, aveva denunciato la registrazione di picchi disinformativi importanti sui social network e Facebook si era classificato come il principale diffusore, nonostante gli sforzi del social per etichettare e segnalare i post contenenti fake news.
La stessa Ue aveva prima chiesto alle piattaforme di attuare politiche specifiche per bloccare l’infodemia di disinformazione e fake news, plaudendo poi per il lavoro che i big del web stavano svolgendo.
Ma nonostante queste numerose contromisure messe in atto, dai social stessi e dalle istituzioni nazionali e internazionali, una nuova ricerca del German Marshall Fund, un think tank statunitense, afferma che nell’ultimo trimestre del 2020 su Facebook e Twitter proliferano le news provenienti da siti ‘specializzati’ in disinformazione.
Sicuramente Covid e elezioni americane non hanno facilitato il compito di questi sistemi di controllo sulle notizie false in rete, ma in dato rimane comunque allarmante: secondo gli esperti, su Twitter le condivisioni da account verificati (quelli contrassegnati dalla spunta blu) di contenuti da siti di disinformazione hanno raggiunto livelli record nell’ultimo trimestre del 2020, con 47 milioni di ‘cinguettii’, un terzo dei 155 milioni registrati in totale.
Su Facebook, invece, c’è stato un declino nelle interazioni con tutti i siti, sia quelli credibili che quelli che diffondono disinformazione, ma le interazioni con questi ultimi sono aumentate nel 2020 rispetto all’anno precedente, e sono state due volte più alte rispetto al 2016. I post con link a siti di ‘bufale’ hanno avuto 1,2 miliardi di interazioni nel quarto trimestre, circa il 25% del totale.
“Anche se gli account verificati sono una parte degli utilizzatori di Twitter, includono molti di quelli più seguiti. Gli account verificati sono tra i maggiori vettori di disinformazione”, si legge nel report.