Dall’Unità al fascismo
Subito dopo l’Unità, il Governo italiano affidò alla stampa il ruolo di favorire la fusione dell’amministrazione statale e di sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto al nuovo corso liberale. Tutte le voci di dissenso furono contrastate, soprattutto con lo strumento del sequestro.
Furono dunque istituiti appositi apparati per la schedatura e il controllo dei giornali: alla Presidenza del Consiglio operava un Ufficio per la Stampa, mentre al Ministero dell’Interno, presso la Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, l’Ufficio Affari Generali e Riservati aveva il compito di adoperarsi per «influenzare la stampa».
I governi, in questa fase storica, gestivano, attraverso il Ministero degli interni, posto al vertice della struttura amministrativa prefettizia, sia i fondi sia gli altri strumenti idonei ad “addomesticare” gli editori. Tutta una serie di dispositivi collaterali, ma non per questo meno condizionanti, era lasciata alla discrezione dell’Autorità pubblica: l’appalto a trattativa privata della pubblicazione degli annunci legali, la somministrazione a prezzo di favore della carta da stampa, il controllo dei canali di informazione per le notizie interne ed esterne di interesse generale.
Il principale strumento di controllo dell’informazione erano proprio i fondi con i quali il Ministero elargiva denaro alle testate, allo scopo di indurre i beneficiari a non contrastare o criticare l’operato governativo. Questi sussidi alla stampa avvenivano tramite finanziamenti diretti ai giornalisti e alle testate, ma anche attraverso le sottoscrizioni di abbonamenti. Durante i governi della Sinistra Storica, l’Esecutivo, avendo ottenuto un allargamento dell’influenza dello Stato Liberale, allentò la volontà di operare un controllo preventivo nella stampa e adeguò le sue strutture.
Alla Presidenza del Consiglio fu creato un Ufficio di segreteria per il Presidente incaricato, dedicato a raccogliere informazioni di interesse per il presidente stesso. Al Ministero dell’Interno, invece, fu istituito un apposito Ufficio Stampa, la cui struttura fu potenziata successivamente anche da Giovanni Giolitti.
Il Ministro dell’Interno continuò a gestire i finanziamenti per i giornali e per l’Agenzia Stefani, e lo fece anche attraverso dei fondi segreti, i cosiddetti «fondi neri», cioè quelle somme di denaro gestite al di fuori delle normali procedure di tracciamento e contabilità. Anche in Francia ci furono molte intromissioni da parte dei governanti, al fine di influenzare la stampa, ma quello che successe in Italia, dove l’intervento dei finanziamenti politici fu di certo capillare e massiccio, fu coadiuvato dalla debolezza del sistema editoriale nazionale.
In Italia, l’assistenza finanziaria ai giornali garantì la sopravvivenza a tutta una serie di testate provinciali, di piccole o medie dimensioni. Durante il governo Giolitti, la libertà di stampa fu più tangibile, grazie alla riduzione dell’uso degli strumenti di repressione preventiva. Gli editori affrontarono una fase di rinnovamento tecnologico per stare al passo con i colleghi europei, da sempre più avanzati, ma molte aziende continuarono a chiudere il bilancio in deficit.
I principali introiti dell’editoria sono da sempre stati le vendite e la pubblicità: la pubblicità, con l’industrializzazione delle testate, avrebbe potuto garantire maggiori introiti ma le vendite restavano ridotte, soprattutto a causa dell’analfabetismo diffuso tra la popolazione e le difficoltà di distribuzione dei giornali.
Per molti editori, essendo difficile coprire il «passivo pianificato», fu necessario ricorrere ad alleanze con il mondo dell’industria e dell’agricoltura; pochi editori riuscirono a restare «editori puri», creando con la sola impresa editoriale un reddito sicuro.
Da parte sua, il Ministero dell’Interno continuò a elargire le sovvenzioni alla stampa, attraverso i fondi occulti e cercò di manovrare i gruppi finanziari. Con questa strategia però il governo attirò le antipatie di alcuni gruppi industriali, i quali fecero passare all’opposizione le testate a cui garantivano liquidità finanziaria. Le modifiche di linea editoriale dei giornali diventarono sempre più frequenti e la situazione fu presto fuori controllo.
Fu chiara la contrapposizione tra la concezione etico-politica del giornalismo, garantita dalla libertà di espressione del giornalista, il libero mercato delle testate, gli interessi politici ed economici dei gruppi finanziari o delle istituzioni, e le esigenze della stampa industrializzata.
Le proposte di interventi legislativi del 1919
Gli intrecci tra grandi gruppi industriali, politica e stampa si fecero sempre più forti, soprattutto durante e dopo la prima guerra mondiale. La scalata da parte di sindacati finanziari e industriali all’editoria giornalistica destò forti preoccupazioni all’interno del gruppo parlamentare socialista che, nell’aprile del 1918, prese una rilevante iniziativa politica: la presentazione di un progetto di legge per rendere pubblici i finanziamenti alla stampa.
Il progetto legislativo, “Per la pubblicità della gestione dei giornali”, fu presentato dal riformista Emanuele Modigliani, che lo illustrò a Montecitorio nel novembre del 1918. Era composto da undici articoli e stabiliva che tutti gli atti costitutivi e i contratti relativi ai giornali dovessero essere stesi per iscritto e registrati; qualsiasi cittadino che ne avesse fatto richiesta avrebbe potuto prendere visione di tale documentazione presso gli uffici in cui essa era depositata.
Il progetto del Modigliani non faceva altro che rappresentare l’estensione del codice di commercio alle aziende giornalistiche, con l’eventuale aggiunta di nullità civili e di sanzioni penali. Sostenuto soltanto da qualche giornale e malvisto dalle forze del potere, il progetto venne insabbiato quando il nazionalista Bevione propose l’estensione della pubblicità alle sovvenzioni effettuate dal governo ai giornali.
Egli coalizzò i gruppi di origine liberale i quali assicuravano la maggioranza parlamentare ai diversi governi. Questi gruppi non intendevano rinunciare alla prassi antica di sovvenzionare giornali medi e piccoli, influenti nei piccoli centri, con i fondi segreti del Ministero dell’Interno. Nelle province la diffusione dei grandi quotidiani era circoscritta ai ceti colti e ai notabili.
Del resto, lo stesso presidente Orlando affermò, nel maggio del 1919, che “la stampa italiana è una delle più libere e delle migliori” e che “la sua dipendenza dai gruppi industriali, in fondo, la svincola dai bisogni e le dà una certa indipendenza”.