Il senso del governo per l’editoria (quinta parte: il lavoro giornalistico)

Come l’attuale governo giallorosso vuole affrontare e risolvere i problemi del comparto editoriale.

Cerchiamo di capire il presente e il futuro dell’editoria prefigurati dal governo Conte-2, tramite le linee guida dell’impegno istituzionale e politico dell’Esecutivo tracciate da Andrea Martella, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all’editoria, nella Audizione informale svolta presso la Commissione Cultura della Camera dei Deputati.

Per titolare questa serie di otto articoli che verranno man mano proposti, abbiamo preso in prestito l’intestazione di un romanzo di Peter Høeg (“Il senso di Smilla per la neve”), da cui è stato tratto l’omonimo e famoso film del 1997 di Bille August, con Julia Ormond.

– Qui il link per leggere gli articoli precedenti.

In questa quinta  parte, Martella esamina il tema del lavoro giornalistico e la sua tutela, mettendo in luce gli elementi che ne mettono a rischio libertà e indipendenza:

5. Il lavoro giornalistico. La libertà di stampa, il giusto compenso, la tutela previdenziale e la lotta al precariato

Le nuove modalità di produzione e fruizione dei contenuti informativi rischiano di svalutare il lavoro giornalistico professionale. Ma a condizionare la libertà e l’indipendenza del lavoro giornalistico sono anche altri fattori, non meno rilevanti. Tra tutti, le “querele-bavaglio” e l’estesa e crescente precarizzazione delle prestazioni di lavoro.

5.1. Le minacce rivolte ai giornalisti

Le intimidazioni ai giornalisti sono un fenomeno in allarmante crescita nel mondo, non solo nei regimi illiberali e non solo nei teatri di conflitto.

Secondo gli ultimi dati Unesco, nel 2018 sono stati 1.010 i giornalisti uccisi, dei quali una larghissima parte (il 93%) era costituita da cronisti locali, da professionisti che raccontavano la vita e le difficoltà delle comunità in cui abitavano, denunciando i traffici e il malaffare che le inquinavano.

Anche in Italia, come in altre società democratiche e aperte, gli episodi di intimidazione o violenza ai danni di giornalisti si stanno moltiplicando, raggiungendo settori e aree del Paese fino a pochi anni fa immuni dal fenomeno.

Secondo i dati diffusi dall’osservatorio congiunto dell’FNSI e dell’Ordine dei Giornalisti, tra il 2006 e il 2018 sono stati oltre 3.700 i giornalisti vittime di gravi episodi in Italia. Ed è cresciuto anche il numero dei giornalisti costretti a vivere sotto la protezione dello Stato (oggi ben 22). Si tratta di professionisti colpiti per il solo fatto di fare il loro mestiere, per il loro sforzo di illuminare periferie e territori in cui prospera la criminalità organizzata, alimentando con la loro testimonianza la speranza di un futuro migliore per intere comunità. Sono numeri allarmanti e in costante crescita, che segnalano tuttavia anche un problema più profondo.

Un’altra minaccia deriva dall’utilizzo intimidatorio delle querele per diffamazione. Oggi moltissimi professionisti sono intimiditi attraverso l’arma della querela bavaglio e della richiesta di esosi risarcimenti in sede civile.

Non c’è dubbio che, sotto questo profilo, esistono nel nostro ordinamento criticità che il legislatore deve superare, se non si vogliono lasciare gli operatori dell’informazione e i cittadini privi di un quadro di regole certo e adeguato ai nostri tempi.

Ma la risposta non può essere quella della repressione penale. Serve semmai un sistema di sanzioni civili più congruo e adeguato ai nuovi mezzi di informazione, accompagnato da un rafforzamento del codice deontologico e da una maggiore responsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione di contenuti giornalistici, dal direttore all’editore.

Su questi temi è tuttora in corso un dibattito parlamentare sulle varie proposte di legge presentate in materia. E’ responsabilità del legislatore e del pubblico decisore quella di trovare il punto di equilibrio tra diritto di cronaca e tutela della dignità delle persone, respingendo con fermezza ogni intervento legislativo animato da spirito punitivo.

5.2. Bassa remunerazione, tutela previdenziale e precarietà lavorativa

A rendere meno libera la stampa italiana sono anche la bassa remunerazione e la diffusa precarietà nel lavoro giornalistico.

La qualità e l’affidabilità dell’informazione si difendono anche contrastando il processo di progressiva precarizzazione del lavoro giornalistico. Un fenomeno che, per ampiezza e qualità, ha trasformato in strutturale il fenomeno del precariato nelle redazioni.

Personalmente, sono convinto che, per assicurare i necessari standard di qualità all’informazione professionale occorre riconoscere a tutti i giornalisti un equo compenso per la loro prestazione, da individuarsi secondo criteri certi e condivisi.

In generale ritengo importante che si apra, anche a questi fini, una nuova stagione di relazioni industriali all’intero del settore.

Per quanto mi riguarda, provvederò a breve a reinsediare la Commissione sull’equo compenso (che si è, infatti, riunita il 4 dicembre u.s.) prevista dalla legge, confidando che si possa giungere entro tempi ragionevoli all’attesa regolamentazione dei compensi giornalistici.

La dignità del lavoro giornalistico e la qualità dell’informazione si difendono anche riconoscendo la giusta remunerazione ai contenuti editoriali che le piattaforme digitali oggi utilizzano gratuitamente, ricavandone enormi profitti.

So bene che la questione della difesa della proprietà intellettuale è stata, negli ultimi anni, terreno di scontro, anche politico, in ragione dei diversi interessi contrastanti, ma credo che questo tema sia essenziale per preservare la certezza di un principio fondamentale qual è quello della giusta remunerazione del lavoro.

Allo stesso modo, non possiamo rinunciare a combattere con ogni strumento efficace l’odioso fenomeno della pirateria, così come l’uso e la diffusione illegali degli stessi contenuti, prodotti dalle imprese editoriali.

La difesa del lavoro giornalistico passa anche attraverso la sua effettiva tutela previdenziale e, in particolare, attraverso la garanzia della sostenibilità delle prestazioni. In questo senso, valuto positivamente le misure recentemente introdotte dal legislatore per favorire il riequilibrio finanziario dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti (I.N.P.G.I.) e garantirne la sostenibilità economico-finanziaria nel medio e lungo periodo, anche attraverso l’ampliamento della platea contributiva (art. 16-quinquies del D.L. n. 34 del 2019).

Per quanto di mia competenza, assicuro la massima attenzione del Governo nel monitoraggio di questo processo, consapevole della rilevanza che l’autonomia e la solidità finanziaria dell’Istituto rivestono ai fini dell’indipendenza della professione giornalistica.

Infine, occorre ricordare come la precarizzazione del lavoro giornalistico sia riconducibile, almeno in parte, ad un utilizzo improprio dell’istituto della collaborazione coordinata e continuativa, che l’ordinamento vigente oggi ammette per tutte le professioni ordinistiche.

Personalmente ritengo che questa sia per il settore giornalistico una criticità da affrontare, anche mediante un apposito tavolo di confronto sul ruolo e il perimetro dei contratti collettivi.