Diffamazione a mezzo stampa, approvato il ddl che prevede multe salate al posto del carcere

Da settimane si parla della riforma sulla diffamazione a mezzo stampa, in discussione al Senato, che ha lo scopo di abolire il carcere per i giornalisti accusati e condannati per questo reato. Un primo passo, è l’approvazione del disegno di legge Caliendo n.812 da parte della Commissione Giustizia del Senato. La norma, approvata su proposta dei senatori Franco Mirabelli, Monica Cirinnà, Valeria Valente e Anna Rossomando (Pd), prevede sanzioni pecuniarie da versare alla Cassa delle Ammende al posto del carcere.

“Nel caso di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, di testate giornalistiche online registrate ai sensi dell’articolo 5 o della radiotelevisione, si applica la pena della multa da 5.000 euro a 10.000 euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità, si applica la pena della multa da 10.000 euro a 50.000 euro”.

Con questa approvazione è stato modificato l’originario art. 13 della legge sulla stampa n. 47 dell’8 febbraio 1948 che per l’attribuzione di un fatto determinato prevedeva, invece, congiuntamente la pena della reclusione da uno a sei anni e la multa non inferiore ad euro 258.

Sulla faccenda erano già intervenuti, nelle scorse settimane, il Presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna, e il Sottosegretario con delega all’informazione e alleditoria, Andrea Martella.

Il senatore Arnaldo Lomuti (M5S), relatore del provvedimento, aveva invece proposto delle sanzioni pecuniarie molto più pesanti da versare alla Cassa delle Ammende, prevedendo che “nel caso di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, di testate giornalistiche online registrate ai sensi dell’articolo 5 o della radiotelevisione, si applica la pena della multa da 10.000 euro a 50.000 euro, mentre da 15 mila a 75 mila euro se, invece, l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato”.

Per fortuna, la Commissione Giustizia ha soppresso per il momento il terzo comma dell’art. 13 della legge sulla stampa, proposto dallo stesso senatore Lomuti, che prevedeva un aumento di pena se l’offesa era arrecata ad “un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una sua rappresentanza o ad un’autorità costituita”. Inutile sottolineare come una tale specifica sia incostituzionale, rendendo completamente e ingiustificatamente diverso il trattamento rispetto al soggetto “colpito”. 

Irene Vitale

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