Incostituzionale l’articolo 13 della legge sulla stampa (n. 47 del 1948) che “fa scattare obbligatoriamente, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa”. A stabilirlo è la Corte Costituzionale.
Dopo 73 anni viene cancellato il carcere per i giornalisti, esclusi quei casi di “eccezionale gravità”. Infatti, è stato invece ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595, terzo comma, del Codice penale, che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa.
Quest’ultima norma consente infatti al giudice di sanzionare con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità.
La sentenza verrà depositata nelle prossime settimane. La legittimità costituzionale della pena detentiva prevista per la diffamazione a mezzo stampa sarebbe, tra l’altro, in contrasto con l’articolo 21 della Costituzione e con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Dopo l’ordinanza n.132 del 2020, che sollecitava il legislatore a una complessiva riforma della materia, la Corte Costituzionale ha quindi dovuto riprendere in mano il tema e ad oggi invita nuovamente il legislatore ad attuare un necessario intervento in materia, che bilanci adeguatamente la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione individuale, “anche alla luce dei pericoli sempre maggiori connessi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione, già evidenziati nell’ordinanza 132”.