“Disinformazione e fake news durante la pandemia: il ruolo delle agenzie di comunicazione” è il titolo del nuovo rapporto Ital Communications-Censis.
Il web ha allargato la platea del mondo dell’informazione portando più libertà, più protagonismo, più notizie, ma anche meno intermediazione e meno controlli sulla qualità e la veridicità delle informazioni.
Il risultato è un sovraffollamento comunicativo fatto di tante notizie che nascono e muoiono velocemente. Alcune di esse, secondo il report, non sono verificate o sono addirittura inventate con il rischio che, piuttosto che accrescere la conoscenza e la consapevolezza di un determinato accadimento, “generino ansia, allarme sociale, visioni distorte della realtà e/o provochino orientamenti e comportamenti che possono avere conseguenze negative sui singoli o sull’intera comunità”.
Il dato che meglio di ogni altro fotografa la portata inedita della domanda di informazione che si è scatenata è quello per cui 50 milioni di italiani, pari al 99,4% degli adulti, hanno cercato informazioni sulla pandemia da diverse fonti, informali e non, creando un proprio personale palinsesto informativo in cui media tradizionali e social media hanno avuto uno spazio rilevante.
Al primo posto, 38 milioni di italiani (il 75,5% del totale, che salgono al 94,5% tra gli over 65enni) durante la pandemia hanno cercato informazioni sul Covid-19 sui media tradizionali, come televisione, radio, stampa.
Alla televisione e agli altri media tradizionali seguono i siti internet di fonte ufficiale, primi tra tutti quelli della Protezione Civile e dell’Istituto Superiore della Sanità, cui 26 milioni di italiani (il 51,8% del totale, dato che sale al 61,3% tra i laureati e al 65,6% tra i più giovani) si sono rivolti per avere un’informazione attendibile su contagi, ospedalizzazioni, decessi, e poi anche quelli del Ministero della Salute, delle Asl, delle Regioni, indispensabili per avere notizie scientifiche e per prenotare tamponi e vaccini.
Al terzo posto, circa 15 milioni di italiani (il 29,8%: 46,2% tra i 18- 34enni, 32,2% tra i laureati) hanno consultato e/o utilizzato i social network quali Facebook, Twitter, Instagram, mentre 5 milioni e 500.000 si sono fidati di siti internet non ufficiali.
Gli italiani definiscono la comunicazione, social e mainstream, sull’epidemia sanitaria confusa (49,7%), ansiogena (39,5%, che sale al 50,7% tra i più giovani), eccessiva (34,7%), generica (20,5%).
Solo il 13,9% della popolazione ritiene che la comunicazione sia stata equilibrata – quota che sale al 19,6% tra gli anziani – e il 12,5% chiara (15,2% tra gli over 65).
Tra i più giovani sono molto elevate le quote di chi ritiene che la comunicazione sia stata sbagliata (14,1% per i 18-34enni e 3,7% per gli over 65enni, a fronte di una media del 10,6%), e addirittura pessima (14,6% tra i millennials, 3,2% tra i longevi).
La comunicazione confusa sul virus, anziché rendere gli italiani più consapevoli, ha generato paura: è di questa opinione il 65,0% degli italiani, quota che cresce tra i soggetti più deboli, arrivando al 72,5% tra gli over 65enni e al 79,7% tra chi ha al massimo la licenza media.
Regno incontrastato del fake è stata la rete. Uno degli effetti negativi e molto pericolosi della bulimia comunicativa da coronavirus è stata la proliferazione incontrollata di bufale e fake news. Talvolta si è trattato di notizie false, che hanno suscitato qualche risata, ma nella maggioranza dei casi sono state notizie che hanno circolato come fossero vere e che hanno avuto seguito e ripercussioni aumentando l’allarme sociale, diffondendo la convinzione che le misure che si stavano prendendo non fossero quelle giuste, spingendo ad adottare comportamenti autolesionistici.
Sono 29 milioni (il 57,0% del totale) gli italiani che durante l’emergenza sanitaria hanno trovato su web e sui social media notizie che poi si sono rivelate false o sbagliate.
Per arginare la proliferazione delle fake news servono misure che pongano in primo piano la responsabilizzazione dei diversi attori che si muovono sul web: il 52,2% degli italiani pone l’accento sull’obbligo da parte delle piattaforme di rimuovere le false notizie, mentre il 41,5% ritiene che i social media debbano attivare dei sistemi di controllo (fact checking) delle notizie pubblicate. Prioritario, poi, avviare campagne di sensibilizzazione e prevenzione sull’uso consapevole dei social.
Lo studio mette in evidenza la difficoltà che hanno avuto i media, vecchi e nuovi, nel governare un contesto di improvvisa moltiplicazione della domanda, a causa della pandemia, confermando di avere sempre più bisogno di figure esterne affidabili e competenti.
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