L'Editoriale

Qualità e passione

Ho assistito in diretta streaming, da fuori Roma, alla presentazione in Senato del nuovo sindacato dei giornalisti FIGEC, che nasce in stretto legame con CISAL.

Ho avuto subito l’impressione di un grande lavoro di preparazione, evidentemente durato più di un anno. Preparazione e coinvolgimento di illustri giornalisti, con storie importanti negli organismi di categoria e nei giornali, ma anche di giovani desiderosi di impegnarsi nell’attività sindacale.

Mi sembra tutto fatto molto bene, anche perchè il periodo richiede di non avvalersi di mezze figure, ma di esprimere il meglio di ciò che una categoria può offrire. Oltretutto, la caratteristica delle mezze figure è quella di tradire, prima o poi, i principi in base ai quali un settore li ha posti ai suoi vertici, solo per consolidare e sviluppare il proprio potere personale. L’errore più comune che si fa è quello di pensare che gente del genere sia “controllabile” attraverso i meccanismi democratici. Non lo è mai. E ciò che è peggio, è che queste mezze figure non si rendono mai conto dell’importanza dei temi che vanno a trattare, non avendo il livello culturale e spirituale per coglierli.

Quindi, FIGEC nasce con uomini di esperienza e di cultura e con giovani con tanto entusiasmo e voglia di fare. Un buonissimo inizio. Carlo Parisi, il Segretario Generale, è un hard worker del sindacato e conosce il giornalismo e l’editoria a tutti i livelli, come pochi. Di lui penso sempre la stessa cosa: è un uomo moralmente integro e in buona fede.

Affronta una sfida non facile ma, sul punto, vorrei dire una cosa a mio avviso molto importante.

È ovvio e scontato che arrivino da USPI gli auguri di ogni fortuna per il nuovo sindacato. È ovvio che tutti noi ci auguriamo che questa sfida sia vinta, anche alla grande. Ma, se fossi un giornalista di qualunque orientamento, dovrei in ogni caso augurarmi il successo di FIGEC. Perchè, direte voi? Perchè il prezzo di un malaugurato insuccesso sarebbe la fine del giornalismo, nel suo senso più alto, nel nostro Paese. Tornare indietro, a quella miseria che c’era prima, vorrebbe dire che l’ultima fiammella si sarebbe, definitivamente, spenta.

Francesco Saverio Vetere

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