Le buone ragioni

È di ieri la notizia della nascita di un nuovo sindacato che sarebbe riduttivo immaginare di soli giornalisti. Si chiama, infatti, FIGEC – Federazione Italiana Giornalismo, Editoria e Comunicazione e fa capo a CISAL, la confederazione dei lavoratori autonomi più grande in Italia, guidata da Francesco Cavallaro.

Il 28 luglio, in Senato, questo nuovo soggetto sarà presentato dai soci promotori e ne sapremo di più rispetto al comunicato diramato ieri in cui si fa cenno ad alcune caratteristiche del nuovo sindacato, in controtendenza rispetto all’attività sindacale svolta fin qui.

In realtà, su questo tema ci sarebbe da fare un discorso molto lungo, praticamente uno studio. Giova l’esperienza personale degli ultimi trent’anni e tutti i segnali che provenivano dal settore di una sempre più forte, progressivamente, insofferenza rispetto al modello contrattuale tradizionale.

Ci sarebbe da fare un discorso sul rapporto tra sindacati generalisti e sindacati di nicchia, sul formale rispetto di un antico patto di non ingerenza e sulla sostanziale introduzione di norme di natura redazionale in contratti grafici nel settore dell’editoria e nel settore radio-televisivo.

Tuttavia, forse non è tempo di sviluppare questi discorsi in maniera articolata ed esaustiva.

Giovedì 28 conosceremo i promotori e ne sapremo di più, anche se l’USPI ha fatto la sua scelta non ora, ma due anni fa con la stipula del Contratto USPI-CISAL. Tra tutti, conosco molto bene il Segretario Francesco Cavallaro, e ne conosco e apprezzo la prudenza, il coraggio e la capacità di visione. Se ha dato il via libera a un passo del genere vuol dire che aveva le sue buone ragioni. Tra queste buone ragioni quella che secondo me è la prima e la più importante deriva da una regola antica e sempre valida:

se un nuovo soggetto sindacale nasce, soprattutto in un settore come quello giornalistico, tradizionalmente legato al sindacato unico, è perché è il settore che lo chiede.

Evidentemente la spinta si era così tanto rafforzata da non permettere l’indifferenza rispetto a una urgente necessità dei giornalisti.