La crisi dell’editoria ed un contratto nazionale da ripensare, Vetere: “limite alle assunzioni”

Rilanciare il settore dell’editoria e farlo in fretta. La situazione creatasi con la crisi economica da Covid-19 ha accentuato numerose problematiche (ricavi pubblicitari, situazione contrattualistica, calo nelle vendite dei cartacei) che già affliggevano il comparto e, in vista di una ripresa economica generale, è il momento esatto per ripensare alle norme per l’editoria. 

I dati delle vendite in edicola sono in netto calo. Nel mese di gennaio 2021 sono state vendute circa 300 mila copie in meno rispetto all’anno precedente, confermando di fatto un trend iniziato da tempo, se si considera che nel 2000 le copie vendute quotidianamente si assestavano intorno alle 6 milioni. Solo 10 anni dopo, nel 2010, questo numero era dimezzato. 

Sui temi è intervenuto il Segretario Generale USPI, Francesco Saverio Vetere, che all’agenzia Nova ha espresso il suo punto di vista. Il settore dell’editoria “va riformato completamente perché ha strutture e leggi vecchie. Alcuni, però, vogliono vivere ancora nel novecento” tanto che “abbiamo ancora le vecchie corporazioni che cercano di mantenere i loro privilegi”. 

Privilegi necessariamente collegati anche alla struttura attuale del contratto nazionale che è “sempre stato un limite alle assunzioni perché per assumere un giornalista un editore deve spendere di entrata 51 mila euro l’anno. Io mi chiedo quale contratto nazionale di lavoro di categorie protette preveda una cifra del genere” visto che, ad esempio, “un farmacista come un ingegnere entra con un contratto da 1.400 euro”. 

Dunque, questa è la tesi condivisa da molti, il contratto nazionale risulta “vecchio e troppo oneroso” e questo è emerso in particolare durante la pandemia quando ha rappresentato un vero “ostacolo alla volontà di assumere i giornalisti ed oggi di tenerli sotto contratto”. Ecco perché l’USPI, nell’ottobre scorso, ha firmato un nuovo contratto con CISAL per il settore dei media

Alla luce di questa condizione è chiaro che “specie la grande editoria in passato ha creato un sistema fatto sul mondo dell’editoria tradizionale, su un sistema economico che si fondava sull’intervento dello Stato e su un patto tra giornalisti ed editori, che si manifestava proprio nel contratto nazionale di lavoro”. 

Accanto a questo però molti editori “per lungo tempo non hanno accettato di adeguarsi ai nuovi mezzi dell’informazione digitale”. Il risultato, secondo Vetere, è che i giornalisti oggi contrattualizzati in Italia “sono molti meno dei 14 mila ufficiali, su una platea di 100 mila: non è possibile che per tutelare poche migliaia di giornalisti si tengano a condizioni terribili tutti gli altri”.