La Corte di Cassazione ribadisce l’illegittimità del divieto di cumulo per i giornalisti iscritti all’INPGI e lo fa con la sentenza n. 33144 del 10 novembre 2021. In precedenza si era già espressa in questo senso con l’ordinanza n. 22170 del 3 agosto 2021 e con l’ordinanza n. 21470 del 6 ottobre 2020.
Infatti, secondo la Cassazione, si è ormai consolidato il principio in base al quale in tema di cumulo tra pensione e redditi da lavoro, agli iscritti INPGI deve applicarsi la stessa disciplina prevista per gli iscritti all’INPS, introdotta dall’articolo 72, comma 1 della legge n. 388/2000 e dall’articolo 44, comma 2, legge n. 289/2002, secondo cui, a decorrere dal 1° gennaio 2003 c’è la totale cumulabilità tra redditi di lavoro, dipendente e autonomo, e pensioni di anzianità.
Il divieto di cumulo
Il divieto fu introdotto nel 1995 all’interno del Regolamento INPGI, in particolare all’articolo 15, che prevede che le pensioni di anzianità siano cumulabili con i redditi da lavoro dipendente e autonomo fino al limite massimo di 20mila euro. Il divieto porterebbe nelle casse dell’ente circa 1 milione di euro l’anno.
L’Istituto di previdenza dei giornalisti, ha sempre sostenuto, però, che in quanto ente autonomo non era tenuta a sottostare alle regole INPS. Quindi finora l’INPGI ha consentito il cumulo solo a quei soggetti che hanno fatto e vinto il ricorso, impedendo così a tutti quelli che per vari motivi, tra cui quello economico, non possono avviare un procedimento legale, di usufruire della cumulabilità.
L’INPGI potrebbe portare avanti il divieto di cumulo anche se a breve termine, considerando il passaggio in INPS di INPGI 1 (dal 1° luglio 2022) previsto dalla bozza della legge di Bilancio.