È stata fissata per mercoledì 12 settembre 2018 la votazione della direttiva sul copyright, proposta nel 2016 dalla Commissione Europea. La votazione era già in programma per il 5 luglio scorso, data in cui il Parlamento in seduta plenaria ha respinto la nuova direttiva, rimandando a settembre l’avvio dei negoziati fra Parlamento, Commissione e Consiglio europeo.
Il copyright è il diritto d’autore che tutela i frutti del lavoro intellettuale attraverso il riconoscimento all’autore originario dell’opera di una serie di diritti di carattere sia morale, sia patrimoniale, e da sempre le norme che lo riguardano, provocano qualche discussione. In questo caso pesano sicuramente le proteste di grandi colossi del web come Facebook e Google, mentre dall’altra parte ci sono le imprese che hanno sofferto l’utilizzo dei propri contenuti online, non vedendo riconosciuto (anche economicamente) il lavoro svolto.
Siti come Wikipedia, già nei primi giorni di luglio, non solo hanno oscurato le proprie pagine in segno di protesta nei confronti di questa nuova normativa, ma hanno anche esortato altri siti, editori e blog a fare lo stesso.
La polemica riguarda in particolar modo l’articolo 11 e l’articolo 13 della direttiva, modificati dalla Commissione Europea.
L’articolo 11 “Protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo digitale”, generalmente ribattezzato link tax, rigurda gli snippets, ovvero le anteprime brevi di articoli pubblicati dai grandi aggregatori di notizie, che portano l’utente a leggere l’articolo brevemente in poche righe, a volte senza poi aprire il contenuto. Gli editori attaccano Facebook, Google ed in generale i grandi social network che non chiedono l’autorizzazione per l’utilizzo dei contenuti e lucrano sulla condivisione di loro produzioni. L’articolo 11 (e il successivo articolo 12) sancisce, quindi, l’obbligo di possedere una licenza rilasciata dal detentore dei diritti che può essere accompagnata da una richiesta, del detentore stesso, di una quota di equo compenso per gli utilizzi dell’opera intellettuale. Inoltre questa restrizione rimarrebbe in vigore per 20 anni dalla pubblicazione. I grandi giganti del web, dal canto loro, obiettano sostenendo che la maggior parte del traffico verso i siti di notizie nasce proprio dall’immensa “vetrina” che le grandi piattaforme offrono gratuitamente.
L’articolo 13, invece, tratta di “Utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione che memorizzano e danno accesso a grandi quantità di opere e altro materiale caricati dagli utenti”. L’articolo prevede un controllo preventivo sui materiali caricati o diffusi online (anche dagli utenti), onde evitare il caricamento di materiali protetti dal diritto d’autore. Chi si oppone a questa normativa sottolinea l’enorme difficoltà, in alcuni casi l’impossibilità, di questo tipo di controllo, per non parlare della possibilità di apertura a nuove forme di censura preventiva che sarebbero in contrasto con qualsiasi normativa sulla libertà di informazione e di pensiero, in particolare in un sistema aperto come Internet. I contrari alla direttiva fanno anche notare come i grandi editori avrebbero più possibilità di stabilire accordi economici con i grandi aggregatori di notizie, tagliando fuori dal mercato i piccoli editori o le voci indipendenti.
Il diritto d’autore, appunto il copyright, è e deve rimanere un tema centrale in Europa, per tutelare chi lavora per una corretta informazione. Resta da vedere se le proposte della Commissione Europea siano le giuste soluzioni per un problema che non può più essere rimandato. Bisogna comunque considerare vari punti.
Il problema del diritto d’autore nell’editoria giornalistica nasce negli ultimi 15 anni e non riguarda strettamente il settore online. Bisogna ricordare che dagli inizi del XX secolo iniziò l’attività di rassegna stampa di giornali cartacei destinata da un lato alla comoda informazione degli utenti e dall’altro allo sviluppo della conoscenza dei giornali.
In realtà le società di rassegna stampa sfruttavano contenuti che dovevano essere tutelati dal diritto d’autore e su tali contenuti fondavano un’attività commerciale. Questa attività è sempre stata ritenuta legittima fino agli inizi di questo secolo quando alcuni editori (grandi) hanno cominciato a chiedere che venisse tutelato il diritto d’autore e di utilizzo commerciale degli articoli prodotti, con la creazione di un regime autorizzatorio e la fissazione di un compenso per tale sfruttamento. Naturalmente le parti sono arrivate alle vie legali.
Una prima sentenza è stata favorevole alle società di rassegna stampa ma i procedimenti sono ancora pendenti.
Più o meno lo stesso principio va applicato allo sfruttamento di parti di articoli di giornale da parte dei motori di ricerca, che recano lo stesso vantaggio ai giornali online di quello che portavano le rassegne stampa. Una parte delle letture dei giornali online deriva da motori di ricerca e social media. Si direbbe una forma di do ut des, sennonché esiste una sproporzione tra i proventi economici di motori di ricerca e social media e i benefici che portano all’editoria.
Dal punto di vista politico e sociale questo stato di cose fa sì che buona parte dell’informazione si trovi nelle mani dei colossi del web.
La totale deregulation su internet ha ostacolato anche il pieno sviluppo della stampa online nella consapevolezza del proprio ruolo e nella posizione del settore dentro paletti economici fissati dagli over the top del web. Non c’è un circolo virtuoso che dia a ognuna delle parti in causa quello che merita per l’importanza di ciò che fa: il produttore di contenuti si trova comunque in una posizione nettamente subalterna rispetto allo strumento, cioè al motore di ricerca o al social media. In questo momento dominano Google e Facebook, non i giornali con la loro informazione. Fissare regole che prevedano un compenso per i contenuti prodotti serve anche ad andare verso l’equilibrio tra strumento e contenuto. Non era mai successo nel sistema delle rassegne stampa che ci fosse questa sproporzione. Tutto questo accade sul web anche per la volontà di alcune parti, inconsapevoli, di portare avanti teorie sulla libertà di stampa del web, facendosi sostenitrici di presunti interessi di piccoli editori dei quali nulla effettivamente sanno.
Sarebbe stato molto semplice, per esempio, sostenere che nessuna regola ci dovesse essere anche sui giornali digitali. Quindi, tutti liberi di assumere, di non assumere, di scrivere, di copiare, rendendo questa specifica forma di informazione nient’altro che un guazzabuglio privo della benché minima possibilità di meritare stima da parte dei lettori. Invece la parte migliore dell’editoria digitale (in particolare proprio i piccoli editori), ha spinto perché si ottenesse una regolamentazione normativa ed una completa parificazione con i giornali cartacei e perché nascesse un contratto di lavoro nazionale dedicato al settore. Questa crescita di consapevolezza respinge con fermezza ogni strumentalizzazione della libertà di internet che sarebbe minacciata da questa o quella normativa, in realtà finalizzata soltanto a perdere quanto più tempo possibile, strizzando l’occhio a Google e Facebook.
Un altro problema è capire se la norma di cui tratta l’articolo 11 in particolare, sia idonea a tale sviluppo. Una possibile modifica potrebbe consistere nell’inserire una previsione riguardante l’obbligo per i motori di ricerca e social media di contrattare il diritto d’autore a tutti i livelli con i singoli editori e con le associazioni rappresentative di categoria. In questo modo si eviterebbe l’altra argomentazione di coloro che si oppongono a tale normativa sulla presunta penalizzazione dei piccoli editori.
A nostro avviso, l’articolo 13 è, invece, completamente sbagliato e otterrà un risultato uguale al GDPR sulla privacy: sarà progressivamente disapplicato per eccesso di incompetenza di chi lo ha pensato e approvato.
Insomma, bisognerà seguire lo svolgimento della vicenda, innanzitutto seguendo con attenzione la votazione del 12 settembre al Parlamento Europeo.