Dopo Facebook e Twitter anche Google, seguendo la scia degli altri colossi del web, avvia una riflessione sulle regole sulle pubblicità politiche.
Il primo paletto introdotto da Big G riguarda lo stop alle campagne politiche indirizzate direttamente ad alcuni utenti sulla base delle loro presunte preferenze politiche. Il secondo, decisamente più efficace, impedirà ai gestori delle campagne elettorali di incrociare i loro database di possibili elettori con gli utenti di Google.
Quello che invece ancora si potrà fare è mirare la pubblicità politica in base a fasce d’età, genere e geolocalizzazione generica dell’utente (basandosi sul codice di avviamento postale) e gli stessi inserzionisti potranno utilizzare un targeting contestuale mostrando annunci agli utenti che hanno mostrato interesse online per quel determinato argomento.
Il 20 novembre scorso è apparso un comunicato, dal titolo “An update on our political ads policy” – “Un aggiornamento sulla nostra policy pubblicitaria” – sul blog ufficiale di Google, firmato da Scott Spencer, vicepresidente e responsabile del product management per le pubblicità, che chiarisce come l’OTT si impegnerà a “proteggere le campagne, mettere in evidenza notizie attendibili sulle elezioni e proteggerle da interferenze straniere”, proprio per tutelare tutti gli utenti che utilizzano il motore di ricerca per informarsi su fatti rilevanti di politica e i candidati che su di esso raccolgono fondi per le loro campagne.
“In questo modo il nostro approccio si allineerà a pratiche lungamente seguite da media tradizionali come tv, radio e stampa e consentirà alle pubblicità di essere visibili in modo più ampio e disponibili per il dibattito pubblico”, continua il post.
Le tempistiche di queste modifiche sono state definite a grandi linee: sicuramente la nuova policy sarà attiva già dalla prossima settimana nel Regno Unito (per tutelare gli utenti durante le elezioni anticipate indette per giovedì 12 dicembre), poi lentamente si allargherà anche agli altri Paesi UE entro la fine dell’anno e dal 6 gennaio anche negli USA.
In ogni caso, Google è la seconda piattaforma a compiere realmente una modifica della policy sugli spot politici (il primo era stato Twitter che aveva deciso di vietare totalmente le pubblicità politiche sulla propria piattaforma), poiché Facebook ancora è in fase di consultazione e le sue decisioni in merito alla faccenda appaiono ancora poco chiare: infatti se da una parte il social di Zuckerberg allerta l’utenza generale alle notizie false, segnalandole e spesso rimuovendole, dall’altra lascia carta bianca ai politici, sostenendo che sono gli utenti-elettori a doversi fare un’idea sulla qualità di chi dovranno o meno votare.
Fake news e disinformazione non scompariranno di certo dal web o dall’informazione sul web, ma forse tutto questo ragionare e modificarsi potrà portare ad una maggiore regolamentazione del sistema.