Le due Big Tech sono accusate di aver stipulato, tra di loro, degli accordi illegali con lo scopo di aumentare i prezzi delle inserzioni pubblicitarie, e quindi i propri profitti, assicurandosi il monopolio dell’advertising online.
L’azione legale, avanzata da una coalizione di Stati guidata dal Texas, è stata presentata al tribunale di New York nel dicembre 2020, ma i dettagli sono stati resi noti solo ora, visto che per oltre un anno i documenti sono stati secretati. Con la desecretazione del fascicolo, per ordine federale, la notizia è stata riportata dal Wall Street Journal e poi dal Guardian.
Secondo i giornali americani, in una prima fase, la causa era diretta solamente contro Sundar Pichai, CEO di Google, ritenuto responsabile di manipolazioni sulle aste di annunci, il sistema che determina quali inserzioni appaiono sulle pagine web in base alla profilazione di un utente.
Successivamente le accuse sono state rivolte anche a Mark Zuckerberg, CEO di Meta. Facebook, affermano i suoi accusatori, ha accettato di “ridurre le sue iniziative di header bidding“- la tecnica pubblicitaria programmatica in cui gli editori fanno offerte su più piattaforme pubblicitarie in tempo reale- e dirottato milioni di inserzionisti del suo Audience Network verso la piattaforma pubblicitaria di Google.
In cambio, Google avrebbe concesso vantaggi speciali all’Audience Network di Facebook nelle aste pubblicitarie, incluso lo stanziamento di una quota di annunci riservati alla rete pubblicitaria di Facebook, anche quando questa non ha fatto l’offerta più alta. L’accordo, afferma la denuncia, “fissa i prezzi e distribuisce i mercati tra Google e Facebook”.
Questi ultimi avrebbero, in sintesi, manipolato di comune accordo le vendite pubblicitarie, usando sistemi non legali, compresi software che influenzano le aste, allo scopo imporsi nel mercato pubblicitario digitale.
La monetizzazione attraverso la pubblicità online è di fatto la fonte principale dei ricavi per i colossi del web, un valore che consolida la posizione di mercato e alza le stime delle quotazioni in borsa di Alphabet e Meta. Il duopolio anche in Italia raccoglie l’80% degli investimenti pubblicitari digitali.
Google ha già respinto le accuse, definendole “prive di valore” e precisando che Facebook è uno degli oltre 25 partner che partecipano al programma Open Bidding di Google, senza ricevere alcun trattamento speciale.
La nuova causa intentata dal Texas e da altri Stati americani contro le due Big Tech si somma ad altre due importanti azioni legali aperte nei confronti dei colossi tecnologici. Stiamo parlando della causa del Dipartimento di Giustizia contro i servizi di ricerca di Google e dalla controversia della Federal Trade Commission contro lo strapotere di Facebook.
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