Questa volta la vittima è italiana, una bambina di dieci anni di Palermo, deceduta a seguito di una nuova challenge su Tik Tok. Non sono bastati i numerosi allarmi dopo che la skull break challenge aveva cagionato gravi lesioni ai ragazzi vittima del presunto scherzo da parte di due amici e sembra neppure abbia insegnato qualcosa la morte di una ragazza che aveva accettato la sfida a bere benadryl fino a stordirsi. Recentemente in Italia il Garante privacy ha avvertito dei rischi che il Social cinese comporta per i dati personali degli utenti da più parti si sono levate grida di allarme e per l’induzione alla pedopornografia. Tutto ciò non è servito ed abbiamo purtroppo una nuova vittima di social.
Le notizie riportano che è stata la sfida del black out challenge a provocare la morte della bambina di Palermo; alcuni siti parlano anche di altre vittime. Si tratta di una gara tra giovanissimi che consiste nello stringersi al collo corde o una cintura e giungere al punto estremo di resistenza; ovviamente il tutto deve essere ripreso con il cellulare e postato sui social insieme ad altri video di barzellette, balletti, consigli per il trucco o simpatici sipari tra coppie scoppiate.
La bambina sembra che si sia legata al collo la cintura di un accappatoio e il suo cuore che si è fermato per lunghi minuti; sempre dalla rete si legge che sia stata dichiarata la morte cerebrale della bambina nonostante le manovre eseguite una volta che i genitori l’hanno trasportata in ospedale. La famiglia ha dato l’autorizzazione all’espianto degli organi.
Per l’ennesima volta il social più di tendenza tra i giovanissimi è stata la causa determinante di una tragedia che, come tutte quelle che l’hanno preceduta, doveva essere evitata. I social si dimostrano una volta di più strumento che deve essere gestito e viene lasciato invece in mano a chi non sa usarlo ed è inconsapevole dei rischi che corre e fa correre specialmente ai più giovani, a chi deve ancora formarsi e non riesce a comprendere i messaggi che giungono sul suo schermo.
Maggior controllo da parte delle famiglie che devono essere i primi guardiani più di un software che può essere facilmente aggirato da chi è nato con uno smartphone in mano; i genitori dovrebbero impedire ai loro figli di accedere ad una piattaforma ormai notoriamente pericolosa. Una maggiore consapevolezza sarebbe necessaria e informazioni più mirate, probabilmente, anche la scuola dovrebbe dare un suo contributo. Ma la rete è già piena di informazioni, notizie, articoli specialistici e non, che rendono edotti della pericolosità di questa piattaforma che ha oltre ottocento milioni di utenti di cui oltre la metà in Cina ed è in rapida crescita e che ha un incredibile appeal specialmente sui giovanissimi.
Anonymous ha già invitato tutti a disinstallare l’applicazione ed avvertito che Tik Tok è in realtà uno strumento di spionaggio controllato dal governo cinese. Altre nazioni pensano al bando.
Questa ‘ennesima tragedia dimostra tuttavia come i messaggi restino inascoltati. L’utente medio della rete, l’Homo Googlis, è sordo ai richiami all’attenzione e, a colpi di click continua la navigazione in mari pericolosi senza preoccuparsi minimamente delle possibili conseguenze ad iniziare da quella di conoscere il soggetto a cui mette in mano i propri dati personali, la sua vita, i suoi cari. Ricordiamo che Tik Tok, a differenza di altri social, non ha forme concrete di controllo per l’accesso: basta dichiarare di avere superato i tredici anni di età. Inoltre la privacy policy usata si sostanzia nell’informare gli utenti che i loro dati saranno usati dal gestore del social come vuole, inviandoli a chi decide e non garantendo i diritti che il GDPR imporrebbe per chi opera all’interno dell’Unione.
Nei più giovani è poi insito accettare il brivido della sfida. Lo fanno gli adulti, magari accettando di incontrare lo sconosciuto con cui hanno parlato per mesi e scoprire che in realtà si tratta di un’altra persona, completamente diversa da come si era presentata. Lo fanno ovviamente i più giovani che, finalmente lontani dal controllo dei genitori possono lanciarsi in queste assurde sfide. Molti messaggi su Tik Tok invitano i “vecchi”, quelli sopra i trent’anni a tornare su Facebook o altri social da matusa.
In ogni caso, cercando (e non è semplice), di prescindere da questa vicenda e dal caso specifico di TikTok, è giunto il momento, forse già da tempo, di ripensare alle norme di accesso alla rete e a una discipliba dei contenuti. Da un lato viene rivendicata l’assoluta libertà di accesso, di navigazione e di uso su uno spazio globale libero; tuttavia dall’altro si devono tenere in considerazione le possibili conseguenze che non sono soltanto furti di identità, truffe online e altri reati: questa tragedia ce lo ricorda una volta di più. Suicidi a seguito di ricatti sessuali, cyberbullismo, e a seguito di revenge porn si sono già registrati; la vicenda di bluewhale è un ricordo ancora vivo. Le fake news a cui viene dato ascolto e diffusione sono non certo l’ultimo dei pericoli cui, quotidianamente siamo esposti.
Forse è davvero il momento di pensare ad un’agenzia sovranazionale che controlli e disciplini la vita in rete. E per vita si intende non solo quella all’interno del web, ma quella reale che, nel caso di Palermo è terminata per una follia di moda tra gli adolescenti.
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