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La storia si ripete: oggi il 5G pericoloso per la salute come nel 1977 la Tv a colori

Durante il lockdown, nel nostro Paese, si è diffusa la paura generalizzata dovuta alla convinzione che le antenne 5G, installate per le sperimentazioni iniziali, avessero contributo in modo importante alla diffusione della pandemia da Covid-19. Tanto capillarmente si è sparso il panico, che è stata registrata un’impennata di ordinanze per vietare le antenne 5G, la lista delle città no-5G si è allungata velocemente giorno dopo giorno dai piccoli paesi alle città più grandi come alcuni capoluoghi di Provincia (i Comuni no-5G sono passati da 53 del periodo maggio 2019-febbraio 2020 a 209 venuti a galla tra marzo 2020 e il 20 maggio scorso). Quindi, un boom registrato soprattutto nella parte finale del lockdown, quando ormai il panico e la paura si erano impossessati della maggior parte della popolazione italiana. 

Negli ultimi giorni sta girando sui social un articolo del 1977 del Corriere dell’Informazione – così si chiamava il Corriere della Sera nel dopoguerra, nella sua edizione pomeridiana – che riporta la notizia di 300 apparecchi televisivi a colori sequestrati su iniziativa del Pretore di La Spezia per valutarne i rischi sulla salute umana. Questa valutazione fu affidata al Centro Elettronico dell’Università di Bologna e al Consiglio nazionale dell’energia nucleare di Roma.  Da qui la riflessione relativa al ritardo di 10 anni che spesso l’Italia vive, per sua volontà, considerando che nel resto d’Europa la tv a colori era funzionante dal 1967.  

La storia in generale, per qualche attento osservatore, mostra la sua ciclicità, e anche in questo caso non si smentisce. Questa volta, però, c’è un’enorme differenza che gli italiani non stanno opportunamente valutando: che il 5G è un sistema tanto rivoluzionario e innovativo che può generare nuovo Pil già in questa delicata fase di ripresa, fase che il nostro Paese sta pagando a caro prezzo. 

La disinformazione e le fake news sul tema non si sono mai interrotte, anzi, fonti disinformative hanno approfittato della situazione pandemica per diffondere incessantemente false verità sul tema. E la cosa ha funzionato, considerato i circa 500 Comuni che hanno portato avanti istante per bloccare l’installazione delle antenne 5G. 5G che porterebbe anche a rafforzare gli aspetti della sicurezza e della cybersicurezza, tema considerato fondamentale da molti imprenditori e cittadini privati, venuto maggiormente a galla durante il lockdown, costringendo la maggior parte dei lavoratori a portare avanti la produzione da casa, in smart working. 

Per non parlare poi dell’adozione delle tecnologie robotiche in particolare in ambito industriale e della capillarità con cui questo sistema arriverebbe anche nelle aree più remote del Paese dove ancora le linee internet incontrano difficoltà strutturali. 

Uno studio del Global Business Barometer dell’Economist Intelligence Unit (alla sua seconda edizione) afferma che il 41,6% dei dirigenti a livello globale ritiene che il 5G sia “un po’meno importante” – rispetto alla fase pre-Covid19 – per il recupero del business della propria azienda e solo il 5,8% lo ritiene “molto più importante”. Quindi, il “sentiment” mappato nel mese di maggio, non mostra grandi segni di comprensione del fenomeno, né tanto meno dell’importanza che esso potrebbe avere nella ripresa dell’economia. Le rilevazioni emerse mostrano senza ombra di dubbio una scarsa conoscenza delle potenzialità del 5G a livello di top management e questo risulta essere un problema importante per lo sviluppo tecnologico del nostro Paese, sempre in parte ostacolato da giochi di potere e dalla paura del nuovo e del diverso. 

Ma torniamo al tema dei pericoli per la salute umana: già con la diffusione della telefonia mobile erano state diffuse delle linee guida dell’Icnirp (International Commission on non-ionizing radiation protection) -che risalgono al 1998- che da allora sono rimaste immutate, così come gli studi e le ricerche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, della Commissione europea e degli istituti nazionali, nel nostro caso dell’Istituto Superiore di Sanità.

Irene Vitale

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