I contributi “di riflesso”
I contributi cosiddetti “di riflesso” rappresentano la prima forma di intervento pubblico promossa attraverso leggi dello Stato.
A partire dagli anni ’30, nel contesto della politica economica perseguita dal fascismo per affrontare le ripercussioni della crisi del ’29, furono avviati un notevole ampliamento e una radicale ristrutturazione dell’intervento pubblico nell’economia.
Fu configurato, inoltre, un nuovo assetto organizzativo ai fini della conduzione e soluzione dei conflitti intercategoriali. Nel 1935 fu creato l’Ente Nazionale per la Cellulosa e la Carta (ENCC), ente pubblico dotato di personalità giuridica, finalizzato alla soluzione della grave situazione del settore cartario. Le finalità dell’ente erano definite dall’articolo 2 della Legge del 13 giugno 1935, n. 1453:
– promuovere lo sviluppo della fabbricazione della cellulosa In Italia;
– adottare provvedimenti idonei ad agevolare la produzione e l’impiego di materie prime nazionali per la cellulosa;
– curare la disciplina della produzione e della vendita della carta, con particolare riguardo alle esigenze di particolari consumi;
– provvedere in modo permanente alla conoscenza dello Stato dell’industria della cellulosa e di quella della carta, mediante periodiche rilevazioni statistiche.
Bisogna notare che i mezzi finanziari per il funzionamento dell’Ente dovevano derivare dai contributi versati dalle varie categorie interessate al ciclo produttivo.
L’onere del versamento del contributo non toccava, però, due tipi di carta: quella per i giornali quotidiani e quella usata dalle amministrazioni statali. Evidentemente ciò va messo in relazione alla situazione di disagio economico in cui versava la stampa quotidiana.
L’ENCC nasce, quindi, come strumento di attuazione della politica economica autarchica del regime fascista e si configura originariamente come un organismo di autogoverno corporativo. Ben presto, però, indirizzò la propria attività concreta verso l’esigenza di protezione e di disciplina del mercato. Tale finalità fu perseguita attraverso l’erogazione di sovvenzioni alla stampa, sotto forma di integrazioni del prezzo della carta da giornale.
Da qui la definizione di contributi “di riflesso”.
L’Ente nazionale cellulosa e carta continuò ad operare anche con il nuovo ordinamento costituzionale, anche se si aprì una riflessione sull’opportunità dello stesso intervento, che si manifestò in una sospensione dell’attività dell’Ente.
In particolare, erano gli editori a volersi liberare da una forma di intervento scomoda, perché in qualche modo determinava una forma di controllo sulle imprese, sui costi e sui prezzi. A partire dal 1971, con la legge numero n. 1063 del 29 novembre, per la prima volta si stabilirono erogazioni di denaro in favore dell’editoria, con fondi tratti dal bilancio dello Stato, anche se sempre tramite l’ENCC.
Il contributo ammontava a 5 miliardi di lire in favore dell’ente, il quale era autorizzato a utilizzarlo per corrispondere alle imprese editoriali di giornali quotidiani una integrazione suppletiva straordinaria del prezzo della carta. L’ intervento rappresenta una seconda forma di erogazione di contributo pubblico con la differenza che, nel primo caso (contributi tratti dal proprio bilancio) l’azione dell’Ente era discrezionale, mentre nel secondo era vincolata da limiti fissati dalla legge e dal Decreto di attuazione (Dpcm 15 gennaio 1972)[1].
Con questo intervento legislativo iniziò a farsi strada la convinzione che fosse preferibile far gravare le provvidenze per l’editoria sul Bilancio statale ed affermare un conseguente e indiscutibile diritto dello Stato stesso di regolarne e gestirne l’erogazione.
[1]). S. Troilo, Mezzo secolo di stampa assistita. Rapporto sulle forme di sostegno dello Stato all’editoria, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, Giuffrè, 1988, vol. 2, pag. 520.