Il senso del governo per l’editoria (prima parte: crisi del sistema e difesa del pluralismo)

Come l’attuale governo giallorosso vuole affrontare e risolvere i problemi del comparto editoriale.

Cerchiamo di capire il presente e il futuro dell’editoria prefigurati dal governo Conte-2, tramite le linee guida dell’impegno istituzionale e politico dell’Esecutivo tracciate da Andrea Martella, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all’editoria, nella Audizione informale svolta presso la Commissione Cultura della Camera dei Deputati.

Per titolare questa serie di otto articoli che verranno man mano proposti, abbiamo preso in prestito l’intestazione di un romanzo di Peter Høeg (Il senso di Smilla per la neve), da cui è stato tratto l’omonimo e famoso film del 1997 di Bille August, con Julia Ormond.

In questa prima parte, Martella esamina la crisi generale del comparto e la modifica delle politiche a difesa dell’informazione.

1. La crisi del sistema editoriale e il necessario cambio di paradigma a difesa del pluralismo

Il sistema editoriale attraversa da almeno un decennio una crisi finanziaria profonda, che ha ormai assunto caratteri strutturali, soprattutto per la stampa quotidiana e periodica.

A fronte di una diffusione dei quotidiani in Italia che si attestava a 5,5 milioni di copie nel 2007, sono oggi circa 2 milioni le copie giornaliere rilevate dagli ultimi dati FIEG.

In poco più di dieci anni sono andate perdute quasi due copie su tre, con una tendenza che non mostra segni di inversione.

Anche il mercato delle copie digitali, che pure era considerato in crescita, si è mostrato in affanno. Le copie digitali vendute nel 2018 hanno subìto una flessione del 3,4% rispetto all’anno precedente, confermando un’incidenza del digitale ancora minima sui fatturati delle imprese editrici.

Sul fronte dei ricavi pubblicitari i segnali sono analoghi. Nell’ultimo decennio, il fatturato pubblicitario si è ridotto del 71,3% complessivo, ad un ritmo maggiore del 10% l’anno.

D’altra parte, non si è solo ristretto quantitativamente – in termini di valori economici assoluti – un settore industriale cruciale per qualunque democrazia occidentale, qual è quello dell’informazione, ma sono allo stesso tempo mutati i suoi connotati fondamentali.

1.1 Il nuovo eco-sistema digitale

Nell’arco di pochi anni, la “rivoluzione digitale” ha cambiato in profondità sia il modo di produrre l’informazione, sia le abitudini e le modalità di fruizione dei contenuti informativi da parte delle persone. Basti pensare al ruolo che il web e i social networks stanno giocando nel superamento della mediazione professionale del giornalista.

Oggi, milioni di individui entrano quotidianamente in contatto con un flusso enorme di informazioni, che essi stessi concorrono a loro volta a creare, senza alcuna possibilità di valutarne il livello di affidabilità e di riconoscerne univocamente l’origine.

Nel nuovo eco-sistema digitale, gli individui non sono solo consumatori e produttori di contenuti informativi, ma diventano essi stessi – attraverso la profilazione delle loro ricerche – “prodotto”, cioè informazione scambiata sul mercato dei big data per finalità commerciali.

Se a ciò si aggiunge la soverchiante dimensione economica sovranazionale delle piattaforme digitali sulle quali queste informazioni sono scambiate – i cosiddetti OTT (Over The Top) – è evidente che ci troviamo di fronte a uno scenario del tutto inedito, che pone un serio problema non solo per la qualità e il pluralismo dell’informazione, ma per la vita e la sopravvivenza stessa degli ordinamenti democratici.

E’ uno scenario che impone al legislatore e al pubblico decisore un radicale cambio di paradigma nell’approccio ai problemi dell’informazione. Un cambio di paradigma che non può che trovare fondamento e ispirazione nel richiamo ai valori costituzionali.

1.2 L’informazione come bene primario

L’informazione è un bene collettivo primario indispensabile per il funzionamento delle istituzioni democratiche.

Nell’informazione si saldano due princìpi fondanti del nostro sistema costituzionale, che trovano pari tutela nell’articolo 21 della nostra Carta fondamentale: la libertà di pensiero e il pluralismo delle fonti.

La libertà di pensiero, intesa come il diritto di ciascuno di manifestare la propria opinione, è condizione necessaria e imprescindibile per la sopravvivenza di un regime democratico. Ma essa trova concreta espressione e garanzia solo nel pluralismo, cioè nella possibilità materiale per ciascun cittadino di formarsi, attraverso l’accesso a più fonti, un libero convincimento personale.

E’ il pluralismo dell’informazione ad assicurare la formazione di un’opinione pubblica libera e criticamente fondata e dunque a garantire le condizioni stesse per il mantenimento dell’ordinamento democratico.

Se è vero – come affermato dalla Corte Costituzione – che “l’informazione esprime non tanto una materia, quanto una condizione preliminare per l’attuazione dei princìpi propri dello Stato democratico” (Sent. 29 del 1996), è la difesa di questa “condizione preliminare” il punto fermo che deve orientare – oggi più che mai – l’azione del pubblico decisore in presenza dei profondi mutamenti economici e tecnologici ai quali stiamo assistendo.

1.3 L’intervento pubblico e una nuova legge

Del resto, l’intervento pubblico a sostegno dell’editoria e del sistema dell’informazione non solo è giustificato, ma addirittura imposto al legislatore ai fini del rispetto del pluralismo, come la Corte ha ribadito con recente pronunciamento (Sent. 206 del 2019).

Occorre, pertanto, una nuova cornice legislativa a tutela del pluralismo dell’informazione, che impedisca la formazione di posizioni dominanti e favorisca l’accesso e la sopravvivenza nel sistema editoriale del massimo numero possibile di voci diverse.

Serve una nuova legge che riconosca, secondo un approccio sistemico e integrato, le nuove e differenziate esigenze di sostegno di tutti i soggetti che partecipano alla filiera editoriale.

1.4 L’editoria locale

Mi riferisco, in primo luogo, a quella vasta e variegata rete di realtà editoriali locali che deve considerarsi – per volumi e diffusione – una fondamentale “infrastruttura” informativa del Paese. E’ l’editoria di prossimità, che dà voce e visibilità alle comunità territoriali, il primo livello di produzione dei contenuti editoriali. Ed è quello il primo ambito da presidiare attraverso adeguate misure di sostegno pubblico, anche diretto.

L’altro fronte di investimento verso il quale dovrà essere indirizzata l’azione di governo è costituito dai giovani.

1.5 Guardare ai giovani

I giovani devono essere posti al centro delle politiche di sostegno all’editoria e alla domanda di informazione professionale e di qualità, anche attraverso campagne di promozione della lettura e incentivi al consumo di prodotti editoriali. Vanno in questo senso le agevolazioni per l’acquisto di abbonamenti a giornali e periodici attraverso la card 18App e quelli destinati alle scuole e ai singoli, che abbiamo proposto nell’ambito della legge di bilancio per il 2020.

Ma i giovani devono diventare anche il fulcro delle politiche di sostegno all’offerta, attraverso misure che incentivino la costituzione di start up editoriali innovative e ogni altra iniziativa imprenditoriale promossa da giovani.

1.6 Il turnover generazionale nel lavoro redazionale

In particolare ritengo indispensabile, anche ai fini della gestione delle vertenze occupazionali in essere, che tutti gli strumenti di incentivo economico alla ristrutturazione aziendale offerti dalla legge – a partire dai prepensionamenti già previsti dall’ordinamento vigente per i casi di crisi – siano in ogni caso condizionati a un effettivo turnover generazionale, cioè alla stabile assunzione di giovani, giornalisti o esperti con particolari competenze nelle nuove professioni dell’informazione (data analists, video makers, ecc.).

A questo proposito, è necessario che nei casi di ristrutturazione i piani aziendali che prevedono riduzioni di personale siano vincolati a una quota significativa ed effettiva di turnover generazionale, nella misura almeno di una assunzione ogni due prepensionamenti assistiti da ammortizzatori sociali.

In questo senso, nell’ambito delle mie prerogative e competenze, mi riserverò di attivare ogni iniziativa utile innanzitutto alla positiva risoluzione delle crisi occupazionali, ove possibile, ma anche alla verifica ex post della congruità ed efficacia degli incentivi pubblici eventualmente erogati alle imprese editrici ai fini delle ristrutturazioni aziendali.

1.7 Accesso alla professione e tutele contrattuali

Allo stesso modo, ritengo che occorra tutelare i giovani che si affacciano alla professione giornalistica dal rischio di permanente precarizzazione al quale sono oggi esposti, anche per effetto delle basse tutele contrattuali di cui godono. Così come occorre proteggerli dalla perdita di valore della loro prestazione, in un mercato sempre più dominato dalla svalutazione del lavoro giornalistico professionale e dalla generalizzata gratuità dei contenuti informativi offerti in rete. E’ anche a questo fine che ho già provveduto alla ricostituzione della “Commissione sull’equo compenso nel lavoro giornalistico”, prevista dall’ordinamento vigente, e che presto sarà convocata.

1.8 La stabilità normativa

Infine, per la tenuta economica e occupazionale del settore editoriale è indispensabile dare certezza e stabilità al quadro legislativo.

Il sistema editoriale ha bisogno di norme funzionali alle sfide della modernizzazione e, nondimeno, di un investimento pubblico di risorse stabile e dimensionato sugli obiettivi e i valori costituzionalmente protetti. Il cambio di paradigma necessario passa anche attraverso la certezza e l’adeguatezza dell’investimento pubblico.

A questo proposito, giova ricordare che il nostro Paese ha un livello di investimento pubblico nell’editoria tra i più bassi in Europa.

Il valore della contribuzione diretta al sistema editoriale ammonta in Italia a 1,1 euro a persona, contro i 9,5 euro della Danimarca e i 5,4 euro della Svezia.

Nel complesso, ai soggetti ammessi alla contribuzione diretta – che nel nostro ordinamento, è bene ricordarlo, sono prevalentemente testate giornalistiche locali e giornali diocesani – nel 2018 erano destinati 66,5 milioni di euro, a fronte dei circa 120 milioni di euro della Francia.

In termini di incidenza sul prodotto interno, si tratta di una spesa pari circa allo 0,02 per cento del PIL.