Il Manifesto aveva iniziato solo da qualche giorno la propria campagna abbonamenti, con un lancio diverso e innovativo che aveva catturato sin da subito la curiosità dei lettori: una pagina completamente nera con la frase “Questo giornale puoi comprarlo al buio”.
“Una campagna coraggiosa e un po’ dark, in linea con i tempi che corrono”, aveva spiegato il direttore editoriale Matteo Bartocci nel suo editoriale. “Quando abbiamo scelto di lavorare sul concetto di “buio” – e quindi di luce – naturalmente non sapevamo che la campagna sarebbe partita il giorno di una crisi di governo “al buio” o con le macerie del Campidoglio Usa preso d’assalto, ma non è un caso. Illuminare i fatti e lottare contro tutte le ingiustizie da mezzo secolo è il nostro lavoro di giornalismo appassionato e militante. Ma non saremmo nulla senza le nostre lettrici e i nostri lettori. Perciò rischiate con noi, abbonatevi e fate abbonare. Non abbiate paura del buio”.
Ma il quotidiano comunista non poteva prevedere cosa sarebbe accaduto da lì a qualche giorno. Google, infatti, nella giornata di ieri, ha rimosso senza preavviso l’app del Manifesto dall’App Store.
“I lettori ci scrivono preoccupati e un po’ arrabbiati, pensano che il problema sia nostro”, spiega subito Bartocci. “Proviamo a sentire gli sviluppatori e a controllare sulle caselle email amministrative. Dopo qualche minuto e un giro di telefonate, scopriamo un po’ nel panico che anche noi, nel nostro piccolo, siamo finiti nel mirino di Big G.
Il gigante di Mountain View ci chiede di dimostrare che siamo davvero una app di news, che produciamo contenuti originali, scritti da giornalisti, che abbiamo un sito web, che rispettiamo la privacy, che non facciamo refusi (ahia!), etc. Iniziamo a cercare tra le varie schermate della Developer Console, una più demenziale dell’altra, e iniziamo a compilare 6 questionari che sembrano scritti da un funzionario dell’impero austroungarico”.
Ma la domanda ancora senza risposta è perché “dopo ANNI che siamo sullo Store e da mezzo secolo in edicola” (quest’anno Il Messaggero compira 50 anni, ndr), Google ancora chiede di dimostrare: “se siamo la app di un giornale (la gerenza è sia embeddatanella app che sul sito); se rispettiamo la privacy (pochi sono più scrupolosi di noi, che non tracciamo né profiliamo); se la nostra app fornisce contenuti a pagamento (lo fa di default, è accessibile solo agli abbonati e Google prende circa il 40% dell’abbonamento da diversi anni); se pubblichiamo annunci pubblicitari (no, non lo facciamo ma è questo un motivo valido per cancellare un giornale?); se pubblichiamo contenuti non adatti ai minori (un giornale non è un porno, comunque nel dubbio autodichiariamo che siamo adatti a un pubblico dai 13 anni in su. Google ci risponde classificandoci subito come un prodotto “non adatto alla famiglia” senza ulteriori spiegazioni)”.
Ma poi Big G chiede anche “un abbonamento omaggio per verificare effettivamente il contenuto delle nostre edizioni digitali con tanto di istruzioni di login (Google che chiede l’abbonamento omaggio al manifesto ci fa abbastanza ridere); ci spedisce a un ente di valutazione dei contenuti denominato IARC (mai sentito prima, almeno da noi)”.
Il direttore e tutta la redazione si mettono subito all’opera, ma al termine della compilazione dei questionari, compaiono sì delle confortanti spunte verdi, “ma il problema rimane”.
“Google ci riscrive comunicando che saremo ancora al bando a causa di questa “Policy Issue”: “Apps without an IARC content rating are not permitted on Google Play”. Finché lo IARC non trarrà le sue conclusioni siamo cancellati dallo Store. Risolviamo anche questa ma la app resta in revisione”.
Insomma, spiega Bartocci, “non si sa cosa stia avvenendo. Eppure la app è pubblica da anni e i commenti degli utenti e degli abbonati sono sempre stati super-positivi (a proposito, non ve lo abbiamo mai detto: Grazie!)”.
Che danno crea quindi Google ad un giornale che aveva appena iniziato la propria campagna abbonamenti 2021?