Alphabet (Google) e Meta (Facebook) riescono a ottenere consistenti margini di profitto dalla monetizzazione attraverso la pubblicità mirata, alzando così le stime di quotazione in borsa e consolidando il proprio valore di mercato.
Il prezzo della pubblicità sulle due piattaforme è più alto del prezzo medio per un’inserzione tradizionale, ma la presenza capillare di Google e Facebook sulla rete garantisce loro un forte vantaggio commerciale.
Infatti, le due Big Tech detengono più dati di chiunque altro sulle abitudini degli utenti come consumatori, dunque investire in pubblicità programmatica con loro, rende di più.
L’imprenditore sceglie quanto investire nella pubblicità, poi costruisce le proprie offerte che diventeranno, nel caso di Facebook, inserti e post sponsorizzati e, nel caso di Google, inserzioni mirate.
Con Facebook è possibile raggiungere 1,6 miliardi di persone. Solo con YouTube di Google si registrano 15 miliardi di visualizzazioni al giorno.
Un piccolo o medio imprenditore locale può quindi scegliere di circoscrivere l’offerta, utilizzando parametri di profilazione come l’età, il sesso, la residenza, ma non sempre la pubblicità arriva al target di riferimento.
Il Corriere stima il valore di borsa aggregato di Alphabet e di Meta a 2.700 miliardi di dollari e precisa che “dalle inserzioni digitali derivano quattro quinti dei ricavi di Google e praticamente tutti quelli di Facebook, per un totale aggregato di 230 miliardi di dollari nel 2020”.
La pubblicità mirata porta, secondo quanto dichiarato dall’economista Alessandro Acquisti al Corriere, a un incremento delle vendite fra il 4% e il 7% rispetto alle inserzioni tradizionali, ma il vantaggio per gli inserzionisti si annulla per via dei costi più alti. Infatti, Acquisiti spiega che “le grandi piattaforme sono le sole a trarre vantaggio dall’ipotesi che la pubblicità distribuita attraverso di loro sia migliore”.
Anche per Lorenzo Sassoli De Bianchi, presidente dell’Upa, le Big Tech sono le uniche a trarre vantaggio dalla pubblicità distribuita sulle loro piattaforme, in quanto “i loro dati sulle visualizzazioni dei contenuti sono autoprodotti. Dunque, l’efficacia della pubblicità programmatica è solo presunta”.
Intanto l’Unione Europea si interroga sulla possibilità di inserire nel pacchetto di regole Digital Services Act un controllo maggiore per le pubblicità mirate.
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