I giornalisti inquilini dell’Inpgi hanno il diritto di conoscere gli atti relativi alla dismissione del patrimonio immobiliare operata dall’Ente. Lo ha ribadito nella giornata di ieri il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4771 del 27 luglio 2020.
L’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani, difeso dall’avv. Federico Freni, ha infatti ricevuto l’ordine “all’esibizione dei documenti” richiesti dai giornalisti inquilini ed è stato condannato a rimborsare ai giornalisti il contributo unificato richiesto nei giudizi di primo grado e di appello.
La vicenda inizia quando i giornalisti Pierangelo Maurizio, Pietro De Angelis, Laura Garofalo, Maria Rita Pasqualucci e Maria Rosaria Gianni, difesi dall’avvocato Vincenzo Perticaro, chiedono all’Inpgi l’accesso agli atti relativi alle operazioni di dismissione del patrimonio immobiliare, accesso che gli viene negato dall’Istituto.
Da quel momento sono seguiti quattro gradi di giudizio, due dinanzi al Tar del Lazio e due dinanzi al Consiglio di Stato, che sono giunti ad accertare che “l’associato in quanto titolare di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, deve essere considerato soggetto “interessato”, ai sensi dell’art. 2 comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990, come modificata dall’art. 15 della l. n. 15 del 2005, fonte del diritto all’accesso ai documenti delle pubbliche amministrazioni”.
Ciò anche alla luce del fatto che sugli Enti pubblici privatizzati “permane del resto, come questo Consiglio di Stato ha pure affermato, oltre che un potere di vigilanza da parte del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, di concerto con il Ministero del Tesoro, sull’approvazione di determinati atti, anche il controllo della Corte dei Conti sulla gestione degli enti previdenziali, per quanto ormai privatizzati, al fine di assicurarne la legalità e l’efficacia, ai sensi dell’art. 3 del d. lgs. n. 509 del 1994 (Cons. St., sez. VI, 28 novembre 2012, n. 6014)”.
Il Consiglio di Stato sottolinea che “la trasformazione operata dal d. lgs. n. 509 del 1994 ha lasciato, quindi, “immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo” (così la citata sentenza di Cons. St., sez. VI, 28 novembre 2012, n. 6014), sicché anche il conferimento del patrimonio immobiliare appartenente alle Casse deve avvenire secondo le modalità stabilite dall’art. 8, comma 15, della l. n. 122 del 2020, dell’art. 2, comma 3, del DM del 10 novembre 2010 e dell’art. 3 della Direttiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 10 febbraio 2011. Prova ne è, nel caso di specie, proprio la relazione della stessa Corte dei Conti che si è concentrata sui risultati della gestione del patrimonio immobiliare da parte dell’Istituto, relazione sul cui significato lo stesso appellante disquisisce ampiamente nella memoria difensiva depositata il 16 giugno 2020”.
Il Collegio ha inoltre sottolineato che “l’attività di gestione del patrimonio immobiliare, soggetta a controllo da parte della Corte dei Conti, rientra sicuramente nel novero di quelle attività che, per quanto funzionali all’esercizio dell’autonomia privata dell’ente mediante la successiva dismissione del patrimonio immobiliare, assumono tuttavia un sicuro rilievo pubblicistico, per la corretta gestione dello stesso, sicché appare un sottile sofisma la distinzione dell’appellante tra “attività di interesse pubblico” e “attività regolata”, non venendo qui in rilievo un’attività meramente privatistica”.
“In ogni caso”, sottolinea la sentenza, “quando pure di attività interamente e meramente privatistica si trattasse, come sostiene l’appellante, non si deve trascurare che anche l’attività meramente privatistica dell’ente, se finalizzata – come nel caso di specie è – al perseguimento di un pubblico interesse, è soggetta al regime dell’accesso degli atti previsto dall’art. 22, comma 1, lett. d), della l. n. 241 del 1990, siccome riformato dalla l. n. 15 del 2005, come di recente ha anche ribadito l’Adunanza plenaria di questo Consiglio nella sentenza n. 10 del 2 aprile 2020, laddove la disposizione precisa che il regime dell’accesso concerne attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.
In ultimo, il Giudice amministrativo ha ribadito che “in ogni caso, lo si deve ribadire anche sotto questa differente angolatura, l’interesse dell’iscritto a conoscere gli atti dell’operazione di conferimento del patrimonio immobiliare sussiste, in quanto l’oculata gestione del patrimonio immobiliare, quando pure questa attività si voglia considerare, in tutto e per tutto, meramente privatistica, rifluisce sicuramente sulla stabilità finanziaria complessiva dell’ente e, come questo Consiglio di Stato ha già chiarito, sussiste un sicuro interesse a conoscere degli atti che, potendo incidere fortemente sul patrimonio immobiliare dell’ente, rischiavano di pregiudicare quantomeno la sua tutela previdenziale, con indubbi riflessi anche sulla sua aspettativa di trattamento pensionistico, anche se l’esistenza della perdita era in quel caso ancor tutta da dimostrare, se del caso, in sede giudiziale (Cons. St., sez. III, 19 febbraio 2016, n. 696)”.
“La stessa relazione della Corte dei Conti, che si sofferma sulle plusvalenze realizzate all’esito della gestione del patrimonio immobiliare, conferma del resto – evidenza il Consiglio di Stato – la sussistenza di un interesse conoscitivo da parte dell’iscritto in ordine a vicende che potrebbero incidere sulla sua aspettativa di trattamento pensionistico”.
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