Il 5 maggio scorso, sulla “Piattaforma per promuovere la protezione del giornalismo e della sicurezza dei giornalisti” del Consiglio d’Europa, è apparso un alert formulato dall’Associazione dei Giornalisti Europei (AGE/AEJ) che spiega come il Consiglio d’Europa attenda spiegazioni dall’Italia sulla volontà di mantenere la pena detentiva di 6 anni per i giornalisti condannati per diffamazione.
“Il 17 aprile 2020 – si legge nella nota – l’Avvocatura dello Stato ha presentato alla Corte costituzionale un memorandum che indica l’intenzione di mantenere le disposizioni giuridiche in vigore che consentano di detenere fino a sei anni per giornalisti condannati per diffamazione in relazione agli articoli pubblicati nei media. La presentazione segna un passo indietro rispetto a diverse iniziative legislative adottate dal Parlamento per abolire la pena di detenzione nei casi di diffamazione. Nel corso di aprile si prevedeva una decisione sulla questione della Corte costituzionale, ma era stata rinviata in relazione all’attuale emergenza sanitaria pubblica senza annunciare una data”.
L’Atto depositato, quindi, afferma la legittimità di questa misura che il Consiglio d’Europa denuncia essere una violazione di secondo livello della libertà di stampa e di espressione, proveniente da un organismo dello Stato.
L’Ordine dei Giornalisti e l’associazione “Ossigeno per l’informazione“, si legge nell’alert, protestano perché “la prospettiva di ulteriori ritardi ha un effetto raggelante –chilling effect- sul lavoro dei giornalisti e lascia senza adeguata protezione legale il loro diritto alla libertà di espressione”.
Il Consiglio d’Europa attende, quindi, questo chiarimento che sarà fornito, se sarà ritenuto opportuno, attraverso i canali diplomatici, com’è previsto dalla procedura che regola la pubblicazione di alerts (segnalazioni) sulla sua “Piattaforma per la protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti” per segnalare in modo documentato comportamenti e fatti che appaiono lesivi della libertà di stampa e comportano la responsabilità di organi di uno dei suoi 47 stati membri.
L’alert poi conclude affermando che “la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riscontrato che l’Italia ha violato l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in merito al mantenimento delle leggi che consentono la detenzione per diffamazione, nella sentenza del 2013 in Maurizio Belpietro contro l’Italia e, più recentemente, in Sallusti contro Italia in Marzo 2019. Sotto forte pressione internazionale, dal 2001 il parlamento italiano ha discusso una serie di progetti di legge volti a riformare le leggi sulla diffamazione, ma nessuna di esse è stata approvata”.