Annullata definitivamente dalla 5^ sezione penale della Cassazione – con sentenza del 5 giugno scorso – la condanna per diffamazione a mezzo stampa inflitta in appello all’ex direttore di Repubblica Ezio Mauro e alla giornalista Giovanna Vitale per due articoli pubblicati nella Cronaca di Roma.
Ezio Mauro e Giovanna Vitale sono stati assolti con formula piena “perché il fatto non costituisce reato”.
L’accusa di diffamazione a mezzo stampa a carico dei giornalisti era riferita a due articoli del 2013 pubblicati sul quotidiano La Repubblica e reputati lesivi della reputazione dell’ing. XXX, in relazione a delle assunzioni da parte del Comune di Roma ritenute non in linea con una buona amministrazione.
Nelle motivazioni della sentenza n. 17259 del 5 giugno 2020 della quinta sezione, la Corte di Cassazione ha dato ampio rilievo alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, con particolare riferimento ai rischi sull’effettività della libertà d’espressione per l’incriminazione del giornalista per diffamazione nell’ipotesi in cui questa non sia esplicitamente prevista dalla legge.
Secondo la Suprema Corte: “Uno Stato democratico garantisce e tutela il diritto di critica degli organi cl informazione e dei cittadini circa l’operato delle persone preposte a funzioni o servizi pubblici. La valenza offensiva di una determinata espressione deve essere riferita al contesto nel quale è stata pronunciata. Occorre calibrare la portata di una espressione in relazione al momento e al contesto sia ambientale che relazionale in cui la stessa viene profferita. Non è ammessa una risposta giudiziaria repressiva che estenda la tutela prevista contro la lesione dell’onore o del decoro anche a casi di contestazione dell’operato altrui”.
Ed ancora, si legge nella motivazione: “La causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di critica (art. 51 cod. pen.), ricorre quando i fatti esposti siano veri o quanto meno l’accusatore sia fermamente e incolpevolmente convinto, ancorché errando, della loro veridicità. Il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che, postulando l’esistenza del fatto elevato a oggetto o spunto del discorso critico, trova una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere; di conseguenza va esclusa la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purché tali modalità espressive siano adeguate e funzionali all’opinione o alla protesta, in correlazione con gli interessi e i valori che si ritengono compromessi”.
Per gli Ermellini, dunque, nell’esercizio del diritto di critica, il rispetto della verità del fatto assume un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che “non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica”.
L’importante sentenza della Corte Costituzionale si inserisce a pieno titolo nei dibattiti politici e parlamentari sulle sanzioni per le azioni diffamatorie a carico dei giornalisti, carcere compreso, e sul tema “a contrario” delle liti temerarie.