Pubblicato il Rapporto sulla competitività europea, firmato da Mario Draghi, ex presidente della Banca Centrale europea, in cui si mette in guardia il Continente sulla necessità di una nuova strategia industriale, più ecologica e digitale.
“L’Europa è l’economia più aperta al mondo”, sostiene Draghi durante la conferenza stampa, “quindi quando i nostri partner non giocano secondo le regole, siamo più vulnerabili di altri”.
Per questo, nell’ultimo anno l’ex presidente della BCE ha sviluppato un report che analizza le debolezze e le possibili soluzioni per l’Ue. Tra i molti temi, Draghi presta particolare attenzione al settore digitale e tecnologico.
“Abbiamo fatto un esperimento, abbiamo rimosso il settore dell’high tech negli USA e abbiamo comparato nuovamente l’economia degli Stati Uniti e dell’Ue abbiamo visto che in quel caso sono paragonabili e anzi, la produttività nell’Ue sarebbe leggermente meglio. Dunque la chiave è nell’high tech e nell’innovazione”.
Così esordisce Draghi, auspicando un consolidamento del settore tecnologico nel mercato internazionale. Tuttavia, per quanto l’economia Ue non sia di basso livello, rimane il problema della sua secondarietà in materia digital e tech. Reti fibra, 5G, telecoms e infrastrutture di ultima generazione sono gli investimenti chiave da cui partire. Per riuscire, la soluzione proposta è un mercato unico digitale, ancora mancante in Europa.
In particolare, le tlc sono tra i 10 settori strategici più influenti e importanti per questa nuova strategia volta al progresso. Necessari gli investimenti per la connettività “con partecipazione pubblico-privata per sviluppare standard tecnici omogenei”.
Non è la prima volta in Ue che si usano investimenti privati e pubblici per uno sviluppo delle infrastrutture per le comunicazioni. È il caso del roaming, che negli anni ’90 ha conosciuto un boom proprio grazie a questa collaborazione di fondi.
Oggigiorno, “per incoraggiare il consolidamento, il rapporto raccomanda di definire i mercati delle telecomunicazioni a livello Ue, anziché a livello di Stato membro, e di aumentare il peso degli impegni di innovazione e investimento nelle norme Ue per l’autorizzazione delle fusioni. La regolamentazione ex ante a livello nazionale dovrebbe essere ridotta a favore dell’applicazione ex post della concorrenza nei casi di abuso di posizione dominante”.
A questo proposito, si era già parlato di fair share in Europa e ora sembra riproporsi lo stesso dilemma. Il fair share è una tassa di equo contributo richiesta dai fornitori di servizi alle big tech. Una lettera infatti era stata firmata da 20 telco nell’ottobre dello scorso anno per chiedere un aiuto negli investimenti sulle infrastrutture agli OTT (Over The Top).
Infatti, sono proprio le Big Tech i generatori di traffico dati più pesanti e che usufruiscono di più delle strutture (a cui non hanno mai contribuito alla costruzione). Nonostante l’aiuto economico richiesto, il Parlamento europeo respinse poco dopo la tassa.
Dopo questa bocciatura, Thierry Breton, Commissario europeo per il Mercato Interno e i servizi, aveva promesso di non glissare sulla questione e che l’Ue avrebbe continuato a lavorarci nel nuovo “Digital Network Act”.
A quasi un anno dalla richiesta di supporto delle telco, nel rapporto di Draghi si riconosce ancora una volta una preoccupante frammentazione nelle infrastrutture in Ue nel settore delle comunicazioni e, ormai, è diventato un problema inderogabile.
Articolo di T.S.
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