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L’Italia che odia online, la ‘Mappa dell’intolleranza’ di Vox

I tweet intolleranti nel terzo anno della rilevazione: diminuisce l’intolleranza contro le persone omosessuali ed esplodono xenofobia, islamofobia e antisemitismo.

E’ uscita la terza edizione della Mappa dell’Intolleranza, il progetto ideato da Vox – Osservatorio Italiano sui diritti, in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari, l’Università Sapienza di Roma e il dipartimento di sociologia dell’Università Cattolica di Milano.

Al suo terzo anno di rilevazione, la mappatura consente l’estrazione e la geolocalizzazione dei tweet che contengono parole considerate sensibili e mira a identificare le zone dove l’intolleranza è maggiormente diffusa – secondo 6 gruppi: donne, omosessuali, immigrati, diversamente abili, ebrei e musulmani – cercando di rilevare il sentimento che anima le communities online, ritenute significative per la garanzia di anonimato che spesso offrono (e quindi per la maggiore “libertà di espressione”) e per l’interattività che garantiscono.

Nella rilevazione, che ha esaminato il periodo tra maggio e novembre 2017 e marzo – maggio 2018, risultano evidenti alcune importanti variazioni rispetto agli anni passati. Una su tutte. Sommando i cluster che si riferiscono a xenofobia, islamofobia e antisemitismo, predittivi quindi di atteggiamenti di forte intolleranza contro migranti e persone considerate “aliene”, la percentuale dei tweet dell’odio si attesta al 32,45% del totale nel 2017 e sale al 36,93% nel 2018: un balzo di ben 4 punti in pochi mesi.

Attraverso l’analisi comparata dei picchi di tweet negativi con i fatti di cronaca, infine, lo studio condotto con la Mappa ha potuto evidenziare i seguenti punti:
– L’estremismo online può corrispondere prima o dopo a forme di estremismo offline.
– La concentrazione e la localizzazione di atteggiamenti intolleranti varia in funzione di eventi locali, nazionali e internazionali.
– L’importanza dei media come influencer e diffusori di una certa tipologia di atteggiamenti, nel trattare notizie ad essi collegati.

Perché Twitter?
Sebbene tra i social network non sia quello maggiormente utilizzato, il fatto che Twitter permetta di re-twittare dà l’idea di una comunità virtuale continuamente in relazione e l’hashtag offre una buona sintesi del sentimento provato dall’utente. Importante, inoltre, ai fini della ricerca, la possibilità di geolocalizzazione, cioè di evincere la provenienza geografica dei termini di odio.

I risultati in sintesi
Iniziando l’analisi da alcune riflessioni generali e confronti con i dati dell’anno precedente, emergono le seguenti tendenze:

Aumento dei tweet totali nel 2017 – 2018 rispetto al 2016. Questa tendenza risulta statisticamente importante, perché dimostra che rispetto alle sei categorie prima citate vi è stata una concentrazione e diffusione di parole ed espressioni di odio nei loro confronti, in linea con il clima generale del Paese e le difficoltà nella gestione dei conflitti e dei pregiudizi.

Diminuzione dei tweet contro le persone omosessuali. Dai 35.000 registrati nel 2016, si è passati ai 22.000 nel periodo 2017/ 2018. La decrescita dei tweet omofobi potrebbe essere una conseguenza dell’approvazione della legge Cirinnà sulle unioni civili e del cambiamento culturale in atto nel Paese nei confronti delle persone omosessuali.

Aumento dei tweet contro gli ebrei, passati da 6.700 nel 2016 a 15.400 nel 2017/2018. Si tratta di una tendenza che, come dimostra l’analisi dei picchi di intolleranza, si lega a fenomeni di antisemitismo agiti in tutta Europa.

Aumento dei tweet contro i migranti: erano 38.000 nel 2016, sono stati complessivamente 73.390 nel 2017/ 2018. Da rilevare che, soprattutto nel 2017, le maggiori reazioni di intolleranza contro i migranti non si sono registrate nel momento dei picchi di arrivo, ma nei periodi successivi agli sbarchi, quando i migranti erano stati destinati nelle differenti strutture di accoglienza e trasferiti sul territorio.

Aumento dei tweet contro i musulmani. I tweet che esprimono odio o discriminazione nei confronti delle persone di fede islamica sono balzati dai 22.435 del 2016, ai 64.934 registrati nel 2017/ 2018. La comprensione di questa intolleranza passa per l’immagine collettiva di sovrapposizione fra persone che professano la religione islamica e gli atti estremi di terrorismo. Da notare come le regioni del Sud con più presenza di tweet intolleranti, come la Campania e la Puglia, risultino in realtà essere le regioni con una minore presenza di islamici. .

Nel 2017 si registra l’aumento dei tweet contro le persone con disabilità. Ma nel 2018 la tendenza si inverte.

Cresce anche l’odio via Twitter contro le donne. E passa dai 284.634 tweet negativi registrati nel 2016, ai 326.040 del periodo 2017/ 2018. Si tratta di un aumento “contenuto”, a fronte di quello verificatosi per altre categorie, ma resta il dato inquietante che assegna alle donne il podio di categoria più colpita dagli haters via twitter.

Aumentano i tweet, ma diminuiscono i profili Twitter, per tutte e sei le categorie sociali incluse nella rilevazione. Il che parrebbe indicare una sorta di estremizzazione online dell’odio. La concentrazione di tweet, con un aumento esponenziale di quelli contro gli islamici, i migranti e gli ebrei, mostra che la comunità online si sta polarizzando verso specifici gruppi sociali.

Leggi o scarica le sei mappe tematiche (.pdf, da primaonline)

Considerazioni
La prima, riguarda il che fare, soprattutto a fronte dell’onda xenofoba che sembra percorrere il Paese. Molti studi recenti possono venire in soccorso, quando spiegano che nelle giuste condizioni, il contatto frequente tra gruppi etnici diversi può generare fiducia e abbassare l’ostilità reciproca. Dato, che sembra confermato dalla distribuzione dei tweet islamofobi nelle diverse regioni, dove le più colpite sembrano essere quelle dove la presenza di immigrati di fede musulmana è minore. Ma gli stessi studi spiegano anche che se società altamente omogenee incontrano per la prima volta persone esterne, il contatto può inasprire il conflitto.

Una seconda considerazione riguarda inevitabilmente la permanenza di stereotipi che si traducono nel linguaggio dell’intolleranza. Scrive a tal proposito la sociologa Adia Harvey Wingfield, commentando il razzismo negli Stati Uniti: «Nella maggior parte delle interazioni sociali, i bianchi sono visti come individui. I soggetti che appartengono alle minoranze razziali, invece, scoprono sin da giovani che spesso la gente li giudicherà in quanto membri del loro gruppo, e li tratterà secondo gli stereotipi (in genere negativi), associati a quel gruppo».

La terza considerazione riguarda il fenomeno dell’estremizzazione dell’odio online: meno twittatori, in grado però di “monopolizzare” e viralizzare l’intolleranza via social. Anche qui studi recenti hanno dimostrato che una percentuale significativa di fake news e di odio diffusi su Twitter e gli altri social proviene dai bot. Un pugno di haters seriali e professionali, dunque, è in grado di ottenere un effetto pervasivo sulle comunicazioni e le interazioni in rete.

Che fare?
Vox suggerisce di ripartire dall’educazione civica, ritrovare le parole inclusive, ritrovare i valori fondanti del patto sociale alla base delle nostre democrazie. Nella consapevolezza, conclude l’Osservatorio, che «trasformare i ragazzi in cittadini è compito difficile. Ma è la vera, grande sfida per costruire un futuro a misura di uomo».

uspi

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