Convegno a Montecitorio. Tra i relatori, il sottosegretario Vito Crimi e il Segretario Generale USPI Francesco Saverio Vetere.
“Il Vomere” è tra i più antichi giornali italiani. E’ stato fondato, infatti, il 12 luglio 1896, a Marsala, dal prof. Vito Rubino. Per celebrare i suoi 122 anni di vita, è stato organizzato il Convegno “La stampa locale, nuova frontiera del giornalismo. La storica esperienza del Vomere, fondato a Marsala 122 anni fa”, che si è tenuto venerdì 16 novembre, nella Sala della Lupa della Camera dei Deputati a Palazzo Montecitorio in Roma.
Numerosi i relatori e i rappresentanti del Governo, delle Istituzioni e delle Associazioni di categoria intervenuti al Convegno.
Tra gli altri, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’editoria, Vito Crimi, per le istituzioni, e il Segretario Generale dell’USPI, Francesco Saverio Vetere, per gli editori.
Riportiamo uno stralcio dei loro interventi:
Vito Crimi
Sottosegretario alla PCM con delega all’editoria
«L’invito è molto gradito perché credo che non ci sia occasione migliore, nel celebrare un giornale locale, che non ha avuto bisogno di contributi pubblici e che, malgrado questa assenza, ha compiuto centoventidue anni di vita.
Il compito dei giornalisti è quello di creare quella cornice informativa che consenta al lettore di formarsi un’opinione. Questo dovrebbe essere il compito principale anche se non può prescindere dalla propria opinione, perché giornalista ha un’ opinione e chiaramente la esprime implicitamente nel modo in cui rappresenta il quadro informativo.
Io credo che la professione del giornalista sia una professione fondamentale e importante per questo Paese.
Ma quello a cui stiamo assistendo oggi è questo: un decadimento nel modo in cui qualche organo di stampa ha trasformato il modo di fare notizia e informazione; anziché nel fornire il quadro informativo per consentire al lettore di formarsi un’opinione, nel piegare i fatti per consentire al lettore di formarsi la stessa opinione dello scrittore cioè del giornalista che scrive. E su questo, da parte dell’ Ordine ho visto silenzio.
Nella mia vita ho fatto una sola querela a un giornale nel 2014, da allora mi sono rifiutato di farne altre. Quella querela non ha neanche iniziato l’indagine ed è ancora in un cassetto di un procuratore di Milano.
Abbiamo presentato già due disegni di legge: uno per impedire le querele temerarie con la possibilità di rivalersi su chi ha fatto la querela da parte di chi poi venga di fatto assolto; un altro sulla questione del precariato dei giornalisti e la riforma dell’Ordine.
L’editore puro (e qui ne abbiamo un esempio) fatica ovviamente a cercare le modalità di finanziamento: abbonamenti e pubblicità.
Stiamo studiando una proposta di legge che preveda certo la partecipazione di aziende, e di soggetti che non hanno un interesse direttamente editoriale, in una società editoriale, ma che tale partecipazione debba essere limitata, affinché tale azienda non diventi a tutti gli effetti l’ editore. Deve essere il più possibile plurale anche quel tipo di partecipazione. Se immaginate tre, quattro aziende che possono compartecipare una società editrice è chiaro che a quel punto, avendo una pluralità di aziende, è più difficile che la linea editoriale possa diventare la linea di una azienda sola.
Io ho un potere: sono sottosegretario all’ editoria e ho il potere di scrivere e firmare un atto (DPCM) che decide l’ allocazione delle risorse alla stampa.
Secondo voi è sano, come principio, che un Governo (quindi di parte) abbia questo potere di decidere il tipo di finanziamento? E’ legittimo pensare che quel tipo di stampa finanziata potrebbe avere un occhio di riguardo per chi la finanzia?
Questo è un sistema che non va, nel momento in cui il criterio per la distribuzione di queste provvidenze è l’assetto societario, oggi cooperative e no profit.
A fronte di tale meccanismo occorre opporre un momento drastico: bisogna in qualche modo dare un taglio netto al passato, dobbiamo ragionare su un diverso modo di sostenere il sistema editoria in generale e non solamente l’editore.
Io ho un’ idea, quella di finanziare il lettore. Se io finanziassi il lettore – con una detrazione d’imposta o un bonus – perché faccia uno o due abbonamenti, i giornali potranno fare una campagna promozionale e lo Stato sostenere il lettore, la libertà il pluralismo dell’ informazione, incentivando la lettura. Si ottiene così lo stesso risultato, però stavolta l’editore dovrà essere capace di fare vera informazione, per stare sul mercato.
Quindi, quando parliamo di taglio alle provvidenze parliamo di tagli ai contributi diretti, ma il Fondo per il pluralismo con tutte le sue accezioni, dovrà sostenere assieme all’editoria, la distribuzione e le edicole Penso anche al sostegno, che è stato riconfermato, per la per le tariffe postali agevolate non solo per i giornali ma anche per i libri.
Ecco, questi sono interventi che servono e che devono andare nel tema editoria e non esclusivamente i fondi agli editori che sono quelli che più di ogni altro hanno fruito di finanziamenti per il prepensionamento di giornalisti e poligrafici e che ancora oggi sono vigenti.
Quindi non è vero che non ci sono i contributi, sono tanti i rivoli in cui si dividono. Forse andrebbero riorganizzati e rivisti per evitare che in questi rivoli qualcuno ci marci un po’ sopra un po’ troppo, a discapito degli altri».
Francesco Saverio Vetere
Segretario generale USPI
«Devo ringraziare intanto Rosa e la famiglia Rubino per questo invito. Sono contentissimo di essere qui a festeggiare il Vomere. Ho pensato di contestualizzare la nascita del Vomere, nel 1896, con quelle nel periodo storico in cui si afferma l’ editoria per come noi la conosciamo in Italia.
Prima dell’Unità d’Italia non c’ era l’editoria che conosciamo adesso. Il primo grande, vero giornale italiano è il Secolo di Milano di Edoardo Sonzogno, che viene creato sul principio della cronaca locale. Sonzogno prese i suoi redattori, e ne aveva assunti tanti, e lì guinzagliò per tutta la città, nelle piazze, negli ospedali per fare la cronaca locale. L’editoria e il giornalismo italiano nascono con la cronaca locale.
Per capire cosa fossero gli editori in quel periodo, ma soprattutto i Sonzogno, voglio ricordare l’episodio del fratello di Edoardo, Raffaele Sonzogno, che andò con un mulo al seguito del generale Cadorna e non appena i piemontesi entrano a Roma, con la breccia di Porta Pia, il giorno dopo fece uscire il primo giornale romano La Capitale.
Nel 1876, dieci anni dopo rispetto al Secolo, nasce il Corriere della Sera, sullo stesso principio seppure con una linea politica di destra. Il Corriere fu un giornale molto fortunato perché tre mesi dopo la nascita, il governo di destra cadde e arrivò al potere la sinistra storica, quindi il Corriere si trovò all’opposizione e questo ne fece una grande fortuna. In quel periodo nascono il Mattino, La Stampa (1895), il Giornale d’Italia (1901).
E’ il periodo d’oro della stampa italiana, perché non c’erano altri mezzi di comunicazione. Il primo giornale radio è del 1930.
Ma si evidenziano subito i problemi degli assetti proprietari, della trasparenza, dell’ editore puro e dell’ editore non puro, perché tra il 1892 e il 1894 ci fu lo scandalo della Banca Romana. In quel periodo nasce anche tutto il settore dell’ editoria diocesana, cioè i giornali locali settimanali editi dalle diocesi che fanno informazione locale.
Il problema della trasparenza degli assetti proprietari e il problema del rapporto difficile tra i governi e i giornali è sempre stato in Italia all’ordine del giorno, anche perché i contributi – che adesso sono pubblici e ufficiali – in quel periodo storico venivano dati sottobanco dal Ministero dell’ interno e non c’ era una legge che obbligava a rilevare chi fossero i proprietari dei giornali. Non c’era nulla di certo, tranne l’ editoria locale di informazione territoriale che nasce, per sua stessa natura, come editoria pura cioè finalizzata solo a vendere copie e pubblicità.
Questo stato di cose si è risolto, naturalmente, con il fascismo: era chiaro soprattutto a Mussolini che fossero i proprietari dei giornali. Mussolini prese atto, anche perché lui era un giornalista, della necessità di dare un ordine alla professione giornalistica. Fece naturalmente a modo suo, ma creò i istituti che ancora esistono: l’ ente di previdenza dei giornalisti e l’ albo dei giornali e dei giornalisti.
Nel 1944 al loro arrivo, gli alleati volevano abolire l’ albo dei giornalisti, ma fu la Federazione della stampa – appena ricostituita – a dire assolutamente di no, perché l’ albo generava certezza dal punto di vista dello sviluppo e delle tutele della professione giornalistica.
Dobbiamo stare molto attenti anche quando critichiamo l’attuale governo. Sono entrato la prima volta a Palazzo Chigi a luglio del 1996 e da quel momento in poi non ho smesso mai di combattere perché tutti i governi succedutisi nel tempo hanno messo in discussione i contributi all’ editoria e l’assetto del sistema. E ogni volta, in questi ventidue anni, venivano creati tavoli di settore, conferenze stampa di mobilitazione giornalistica, si gridava ad un attacco alla libertà di stampa. Vi ricordate cosa avvenne con Berlusconi o con il governo Prodi che voleva sostituire le agevolazioni postali con contributi diretti a posteriori agli editori?
Tutto quello che sta succedendo adesso non è niente nuovo. Questo non vuol dire che dobbiamo essere meno preoccupati, ma ricordiamo che, quando si parla di libertà di stampa e di contributi all’editoria, questi ultimi sono riservati a circa centocinquanta giornali, mentre in Italia le testate sono più di seimila. La stragrande maggioranza dei giornali italiani, soprattutto quelli locali, non prende una lira da nessuna parte.
Un esempio virtuoso viene dai giornali digitali. In Italia abbiamo fatto una terrificante fatica a capire che il giornale digitale deve essere considerato alla stregua del giornale cartaceo.
C’è voluta la legge 198 del 2016 per dare una definizione di cosa è un “quotidiano on line” e farlo entrare nel sistema, perché nessuno ci aveva minimamente pensato. A patto che abbia, come dice la legge 416/81, chiarezza e trasparenza degli assetti proprietari.
Un ritardo imbarazzante rispetto agli altri Paesi. Facciamo un esempio: i giornali cartacei scontano l’IVA al 4%; i giornali digitali fino all’ anno scorso, cioè finché l’USPI non ha vinto la battaglia con l’Agenzia delle entrate, scontavano l’IVA al 22%.
Il vero problema è che non abbiamo una chiara comprensione di come dobbiamo tutelare la nostra stampa, perché per far bene creiamo delle nicchie, queste nicchie si oppongono a portare avanti la linea della libertà di stampa e portano avanti loro i privilegi. Il vecchio contributo all’editoria è stato smontato nel 2016. In quell’anno è stata emanata una nuova legge per l’editoria che adesso questo governo vorrebbe disfare un’altra volta per rimetterne su un’altra ancora.
Le norme del 2016 non sono mai sono andati in vigore, per cui non sappiamo quanto beneficio potrebbero portare, ma la legge 198 del 2016 ha imposto ai quotidiani on line lo stesso numero di dipendenti rispetto ai quotidiani cartacei (che, anche quando sono piccoli, fatturano dieci volte di più rispetto ai giornali on line): questo vuol dire escludere tutta la coda lunga degli on line dai contributi pubblici.
Con i governi si dialoga. Probabilmente il nuovo governo non ha approfondito alcune questioni al punto giusto, ma bisogna evitare di mettere in pericolo continuamente quelli che sono i presupposti, perché le leggi ci sono e sono buone. Vanno soltanto attuate e bisognerebbe prendere esempio dalla stampa virtuosa come quella del Vomere.
Per i quotidiani cartacei, siamo passati da sei milioni di copie (gonfiate) gradualmente a tre milioni di copie e adesso siamo arrivati a due milioni e duecento mila copie vendute dichiarate al giorno, mentre in realtà, se lasciamo perdere gli omaggi e le vendite in blocco, siamo a circa un milione e seicento mila copie di quotidiani vendute al giorno. Di questa stampa generalista sta già facendo giustizia il mercato.
L’unica stampa che cresce è la stampa locale, la stampa veramente utile, quella della tradizione italiana, la stampa di cronaca nella quale il giornalismo è veramente giornalismo, in Italia come in tutti gli altri Paesi del mondo».
Sono intervenuti, inoltre, il consigliere del Ministro Dei Beni Culturali, Valerio Tacchini; la vicepresidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Elisabetta Cosci; la presidente dell’Odg Lazio, Paola Spadari; il presidente dell’Associazione Stampa Parlamentare, Marco Di Fonzo; il vicepresidente dell’Associazione Stampa Estera, Maarten Van Aalderen; il segretario generale aggiunto della Federazione Nazionale della Stampa, Carlo Parisi; il presidente della Associazione Ossigeno per l’Informazione, Alberto Spampinato; Il direttore del giornale il Vomere, Rosa Rubino; il giornalista del Vomere, Riccardo Rubino; il giornalista parlamentare Giovanni Innamorati; il giornalista e scrittore Andrea Di Consoli, autore di programmi Rai; il giornalista Daniele Ienna.
Guarda il video integrale del Convegno, da www.radioradicale.it (durata 3h, 28min.)
(Le foto del Convegno sono riprese da www.radioradicale.it)
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