Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, un articolo a firma del Prof. Domenico Volpi, Presidente Onorario dell’USPI, che illustra una sua riflessione sulla pervasività del mondo dei “social” e dei rischi connessi a questo fenomeno.
Bei tempi, quando si scontravano i fautori di due mezzi di comunicazione umana, l’un contro l’altro armati di solidi argomenti. Gli antichi Elleni quando, contro l’invenzione della scrittura, lamentavano la fine dell’oralità e quindi il declino della memoria; i copisti e miniaturisti all’invenzione della stampa; i letterati contro i fumetti; il libro contro la televisione; il troppo rapido transitare della musica (e non solo) da un mezzo all’altro (vinile, musicassette, compact disc, ipod …). Bei tempi, ormai superati da “uno contro tutti”.
La comunicazione attraverso i social: lo smartphone fra le mani dei bambini, l’amico che non dorme mai e non fa dormire, il rubatempo al gioco e ai contatti umani, il cannibale dell’attenzione e del silenzio, dell’apprendimento profondo e dello sforzo di ricercare per conquistare il sapere.
A tali appellativi si può obiettare dimostrando l’utilità dei vari social in molte occasioni (ammirata ed esaltante quella del ragazzino immigrato che riesce ad avvertire i carabinieri del rischio mortale suo e di cinquanta compagni sul bus cosparso di benzina). Utili per l’accesso rapido alle informazioni come orari, percorsi, ricette, ortografia, definizioni, ma condizionanti l’attività cerebrale, la scelta, il giudizio, se il materiale informativo e le opinioni di uno solo sono accettati passivamente.
Ne consegue la morte non solo dei libri di cucina, delle guide turistiche e di molti altri manuali, ma delle enciclopedie, dove finora si ricercava un argomento e nello sfogliare le pagine ci imbattevamo in qualcos’altro che attirava il nostro interesse e scopriva altri orizzonti. Oggi il lettore digita sui tasti, trova più segnalazioni (da Google, Wikipedia ecc., e brani di articoli e libri) e si attiene a una, pigliandola alla lettera senza confrontarla e senza senso critico.
Inoltre, pochi considerano che quel che entra nei social può vivere per decenni, per tutta la vita dell’imprudente o del calunniato. Così possiamo riflettere che, a parte l’uso che se ne fa, come sostenne Marshall McLuhan, «il medium è il messaggio». (McLuhan M., il medium è il messaggio, Il Saggiatore, Milano 2015)
Oggi gli italiani che consultano un sito d’informazione on line sono più di 12 milioni, e si fidano del medium, ma ignorano che, per ragioni economiche, gran parte delle notizie non provengono, come nei giornali, da inchieste o da presenze dirette sui luoghi, bensì sono composte da un pastone che cucina insieme notizie di agenzia fresche e ancora non definitive con articoli di vari giornali, specie se brevi, frettolosamente composti da redattori pagati pochissimo e ansiosi di affermarsi con uno scoop anche se non ancora verificato.
Una volta si diceva: la radio annuncia una notizia, la tv la fa vedere, i giornali la spiegano. Oggi si può dire che i social la sfiorano, non scavano nel profondo e accontentano un pubblico sempre più superficiale. La fretta, dice il proverbio, non è buona consigliera, e bisogna diffidare di quello che viene dato gratis.
La caduta degli dei. Il dio giornale, il dio libro, il dio fumetto, il dio tv, il dio computer: sull’Olimpo regna ormai il dio Social, al quale certo attribuiamo vari attributi divini come onnipresenza e onniscienza.
In una recensione del libro di Franco Brevini «Così vicini così lontani» il giornalista Paolo Di Stefano scrive: «si evidenzia, già dal significativo titolo, il valore della fatica paziente dell’apprendimento, la concentrazione e l’impegno contro l’user friendly digitale. […] La capacità di porre uno spazio temporale di riflessione e di attesa di fronte alla comunicazione indistinta e dilagante, il dialogo vis à vis contro la comunicazione autistica o contro le presunte amicizie che ci rendono insieme ma soli». (Di Stefano Paolo, La solitudine delle vicinanza, C.d.S. 13/12/2017)
Un grande editore ha notato che nelle belle case, o accanto agli oggetti reclamizzati in tv e nei video dei computer e dei social, non si vede mai, neppure sullo sfondo un libro qualsiasi, neanche un manuale di cucina o di bricolage, E ha fatto osservare ai pubblicitari che i libri potrebbero fare strada anche facendo vedere che fanno parte della vita normale. Gli hanno riso in faccia: «un libro non è in, non è chic, non è suggestivo, gratificante, desiderabile, non produce associazioni subliminali con il lusso, l’agiatezza, lo stile di vita che si vuole indicare». (Fruttero-Lucentini, Senza più libro si ritorna a Neanderthal, C.d.S. 30/10/2018)
I redattori di «Panorama» riferiscono di avere accolto sei studenti di un liceo scientifico di Milano per l’alternanza scuola-lavoro. Hanno riscontrato grande interesse per tutto il ciclo del lavoro giornalistico, dalla ricerca delle fonti alla redazione degli articoli, ai procedimenti di stampa e diffusione. Ma, interrogati poi se la conoscenza del lavoro ammirato avesse destato in loro il desiderio di leggere qualche quotidiano, hanno risposto con frasi come: «internet è molto più alla portata di noi giovani: ci permette di filtrare le notizie che ci interessano, di condividerle»; «difficilmente ciò porta a farci consultare riviste e giornali cartacei che risultano più impegnativi»; «è difficile sentir dire, da un appartenente alla nostra generazione “Ho letto questo articolo interessantissimo”, è molto più semplice sentire la stessa frase riferita a un video. Perché è più veloce da assimilare che la pagina di giornale»; «Siamo la generazione della pigrizia, dell’arrendevolezza, tutto ciò di cui abbiamo bisogno ci viene scaraventato addosso senza necessità di chiederlo: immagini, informazioni, suoni, cultura e novità ci penetrano senza nemmeno essere percepiti. Allora, perché fermarsi nella nostra corsa verso la vita per leggere fogli sbiaditi, fatti di un materiale emblema del passato?». (Redazione Panorama, Perché non vi leggiamo, Panorama 28/06/2018)
A tutte queste considerazioni – che non devono essere prese né per geremiadi né per catastrofismo, bensì come presa di coscienza di una situazione – Beppe Severgnini obietta: «Oggi, domani e dopodomani, leggete con attenzione il Corriere (o altro giornale, n.d.r.). A cena vi accorgerete di poter parlare con facilità di politica ed economia, cronaca e libri, cinema e tendenze. Stupirete gli amici e sarete stupiti voi stessi. Vi renderete conto di essere informati, di sapere le cose, e questo è un vantaggio. […] La lettura consente di conoscere i dettagli di una questione, di approfondirla, di leggere un commento (con cui convenire o no)». (Severgnini Beppe, I giornali sono cibo per i pensieri, C.d.S. Sette, 15/3/2018)
Per i ragazzi, si potrebbe dire altrettanto raccomandando l’inserto «Popotus» di «Avvenire», «Il Messaggero dei Ragazzi», «Mondo Erre», «Piemme» e altre pubblicazioni che rendono comprensibile anche ai giovanissimi la complessità del mondo.
Su «il Giornale », Maria Sorbi avverte: «Quest’anno per la prima volta dietro al banco non siedono più ragazzi nati nel secolo scorso, ma esclusivamente Millenials. Tuttavia, se gli studenti sono tutti digitali, non lo è la scuola che frequentano. Non ancora. E digitale non è nemmeno il loro metodo di studio. Tutti, dalle Medie alle Superiori, restano ancorati al caro vecchio libro di carta (che spesso ha integrazioni digitali, n.d.r.) e non intendono affatto metterlo in soffitta. Continuano a utilizzare computer e iPad quasi esclusivamente per giocare o socializzare». (Sorbi M., W il libro, M il tablet, il Giornale 11/9/2018)
Molto validi sono gli argomenti che Maria Teresa Martin formula sulla rivista «Il Pepe Verde», anche perché indica alcuni accorgimenti utili. Ne cogliamo fior da fiore. «Nel Regno Unito si propone di dedicare, a scuola, mezz’ora al giorno alla lettura, cercando di stimolare i ragazzi verso la narrativa. […] Leggendo lo stesso libro ogni persona immagina ambienti, figure, realtà diverse tra loro: spesso ci troviamo a provare delusione per un film tratto da un libro che ci è piaciuto particolarmente. Le immagini filmiche tradiscono le nostre immagini interiori. […] È importante saper leggere non al bambino ma con il bambino, in una comunicazione libera e ricca. […] Chi non legge, a settanta anni avrà vissuto una sola vita, la propria! Chi legge avrà vissuto 5.000 anni, c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirò l’infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro». (Martin M.T., su Il Pepe Verde)
Mi piaceva concludere con questa bellissima definizione, ma mentre scrivevo sono sobbalzato nell’udire, da buona fonte, che “nella Silicon Valley gli ideatori dei palmari più avanzati e di nuovi intrattenimenti vietano ai loro figli l’uso di questi mezzi prima dei 15 anni“. (RaiTv 3, h 10.40, 25/03/2018)
Domenico Volpi, Presidente Onorario dell’USPI
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