Pubblichiamo l’intervista di Pino Nano, giornalista, già capo redattore centrale Rai, a Rosa Rubino, Direttore de “Il Vomere”, associato USPI.
Il giornale di Marsala il 12 luglio ha compiuto 126 anni di vita
Rubino, biologa, è da 35 anni giornalista e direttore de “Il Vomere”, il più antico giornale di Sicilia (il 12 luglio ha compiuto 126 anni), che si pubblica a Marsala, e da più di dieci anni anche nella versione on line. Giorni fa ha ricevuto dall’Ordine dei giornalisti di Sicilia la targa per i 35 anni di attività professionale.
È Consigliere nazionale dell’USPI e consigliere della Fondazione Sicilia.
Da quanti anni dirige Il Vomere?
Da trentacinque anni ininterrotti.
Una bella fatica, immagino…
Un bellissimo lavoro e un impegno civile straordinario, almeno per me.
Ci racconta in breve come è nato Il Vomere?
La testata è stata fondata il 12 luglio del 1896 a Marsala da mio nonno, Vito Rubino, che la diresse per ventisette anni, fino al 1923. Fra i primi abbonati del giornale figura il re Vittorio Emanuele III.
Quali sono state e sono le principali battaglie del giornale?
Da sempre Il Vomere è impegnato nelle battaglie in difesa della cultura della legalità, della giustizia e della salvaguardia dell’ambiente. Inoltre mi sono fatta promotrice da alcuni anni anche di un importantissimo percorso formativo e culturale dedicato alla valorizzazione del ruolo dell’informazione locale nel panorama editoriale italiano, il che non è poco in una regione “difficile” e ancora molto “lontana dal resto del mondo” come la Sicilia.
Quindi la sua famiglia è alla guida del giornale dal primo giorno della sua uscita?
Pubblicato senza soluzione di continuità dalla data di nascita fino a oggi. Fatta eccezione per un breve periodo, in seguito al tragico bombardamento di Marsala durante la Seconda guerra mondiale, l’11 maggio 1943, il periodico è stato sempre diretto dalla mia famiglia.
Se tornasse indietro rifarebbe questo mestiere?
Ancora di più e ancora meglio. Non mi stancherò mai di fare questo mestiere che considero uno degli impegni professionali più gratificanti del mondo.
Come nasce la passione per il giornalismo?
Fattore genetico. Mio padre era il direttore di questo giornale prima che io ne prendessi le redini. E prima ancora di mio padre Riccardo, mio zio Alfredo e mio nonno Vito.
Quanti anni aveva quando incominciò a fare questo mestiere?
A dieci anni aiutavo mio padre a scrivere a macchina gli indirizzi dei nostri abbonati in Italia e all’estero a cui poi andava il nostro giornale.
Ancora bambina!
A dieci anni mio padre mi mise per la prima volta alla macchina da scrivere e mi insegnò come digitare sui tasti. Poi mi spiegò che era fondamentale usare la carta carbone per la doppia copia, e poi mi disse che avrei dovuto essere sempre più veloce alla macchina da scrivere, perché la fortuna del giornale stava tutta in quei nomi da digitare ogni qualvolta il giornale usciva.
E il suo primo servizio firmato?
Se non ricordo male a diciotto anni, ma già prima mi piaceva scrivere di tutto e di più.
Ma lei poi all’Università sceglie di fare biologia!
Il mio secondo amore. Avevo frequentato a Marsala il liceo scientifico, e dopo la maturità non ebbi nessun dubbio, dovevo diventare una biologa.
Non pensò mai di fare lettere moderne o un’altra laurea umanistica?
No. Già sapevo che da grande avrei fatto prevalentemente la giornalista, mi sono iscritta all’Ordine dei giornalisti e poi ho conseguito la laurea e l’abilitazione a Palermo, non potevo non inseguire la mia grande passione per le scienze biologiche. Le materie umanistiche sono importanti, ma anche quelle scientifiche lo sono. Del resto vedo che su BeeMagazine è in corso da tempo un dotto dibattito sulle “due culture”.
Il giorno più emozionate della sua storia di cronista?
Il giorno in cui andai a ritirare il mio primo tesserino professionale.
Quel giorno cosa ha pensato?
Che ora avrei potuto fare questo mestiere a tempo pieno e con grande consapevolezza del mio ruolo.
Che gavetta aveva alle spalle?
Vuole dire oltre agli indirizzi che mio padre mi chiedeva di battere a macchina?
Più o meno sì
Per anni ho scritto quello che mio padre mi passava. Rivedevo il giornale, ne correggevo le bozze, avevo imparato ad impaginarlo, e soprattutto avevo incominciato a capire che questo mestiere si fa per strada non stando seduti in redazione.
E lei l’ha fatto allora quello che oggi si chiama citizen journalism?
L’ho fatto e tuttora può capitare, dipende dalle occasioni. Esco da casa per venire in redazione e se vedo che c’è qualcosa che non va, allora prendo la mia macchina fotografica, che oggi è prevalentemente il mio cellulare, e scatto le foto da mettere in pagina.
Da donna è più facile fare questo mestiere?
Donna o uomo, non cambia nulla. Se lo sai fare, lo fai. Se non sei capace, o sei donna o sei uomo alla fine ti rendi conto che non è il tuo percorso.
Ma lei come donna si è mai sentita privilegiata?
Glielo dico da donna, qualche volta mi sono resa conto che quello che una donna riesce a fare non sempre può farlo un collega maschio.
In che senso?
Che forse noi donne sappiamo aspettare il momento giusto per fare la domanda più difficile più diretta al nostro interlocutore. Abbiamo una capacità dell’ascolto che non sempre i colleghi maschi sanno avere.
Conta anche la bellezza fisica?
In che senso scusi?
Nel senso che una giornalista che è anche una bella donna apre porte che nessun altro potrebbe aprire?
Qualche volta è anche possibile, perché negarlo.
Nel suo caso è accaduto?
Qualche volta credo di sì.
Quante volte le è capitato?
Tante, forse troppe volte, ma ci ho fatto l’abitudine.
L’incontro più bello della sua vita?
Quello con Ibrahim Faltas, economo della custodia di Terrasanta, conosciuto durante il mio viaggio in Palestina, con il Cio (Comitato olimpico italiano) e con la Lega Pro di calcio.
Me ne indichi un altro
Meraviglioso il rapporto con il giudice Caponnetto. Con lui abbiamo diffuso insieme per cinque anni nelle scuole del Trapanese e di Reggio Calabria la cultura della legalità.
Se dovesse indicare una icona della storia di questo Paese a chi pensa?
Adriano Olivetti, un gigante che in Italia ha saputo coniugare la cultura e l’impresa.
Lei dà un grande valore alla sicilianità…
Scusi lei è mai stato in Sicilia, a Marsala? Ha mai visitato la provincia di Trapani? È mai stato a Mozia e nelle Saline Ettore Infersa.
Purtroppo no.
Allora trovi il tempo per venire da queste parti e capirà cos’è la Sicilia e perché io le dico che è la terra più superba e più bella del mondo.
C’è ancora tanta mafia dalle sue parti?
La mafia ha assunto una dimensione completamente diversa rispetto a quella che siamo abituati a vedere nei film e nei nostri ricordi. La mafia è ormai divenuta nei suoi effetti un fenomeno che incide, in massima parte, sul tessuto economico alterandolo.
E sui temi caldi della giustizia?
Costante è stata anche l’attenzione per tutti i temi relativi alla giustizia, affrontati con una serie di convegni organizzati con il Centro Studi ‘Cesare Terranova, e alla difesa del patrimonio ambientale. Pensi per esempio alla tutela dell’Isola di Mozia e della Laguna dello Stagnone di Marsala. Ma proprio per questo, costante è sempre stata l’attenzione da parte delle più alte Istituzioni nazionali e del mondo editoriale per la storia e l’esperienza giornalistica del Vomere.
Mi dicono che lei conservi gelosamente lettere illustri
Apprezzamenti importanti ci sono stati espressi dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per l’edizione speciale del Vomere pubblicata nel 150° anniversario dello sbarco dei Mille a Marsala. Lettere di elogi al giornale dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dal Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, e da altre personalità.
Cosa farà… da grande?
Spero il direttore di questo giornale per tanti anni ancora.
Che consiglio si sentirebbe di dare a un giovane che sogna di fare il giornalista?
Di studiare, di imparare l’inglese, perché questo l’avvicinerà sempre di più al resto del mondo, di saper ascoltare la gente che incontra, e di pensare che in ognuno di noi c’è un angolo di umanità che vale la pena di cogliere e di raccontare. Deve avere grande passione e una grande curiosità. Il resto verrà da sé.
Direttore qual è il ricordo più dolce della sua vita al giornale?
Mia madre Olga. Era una donna straordinaria. È stata la salvezza del giornale. Mia madre capì che per la sopravvivenza del Vomere bisognava essere anche stampatori. Quando 50 anni fa prese in mano le redini dell’impresa, decise di comprare le migliori macchine da stampa e le linotype. Stampiamo quindi il giornale ma anche libri, come quelli di Lorenzo Nigro, un archeologo di fama internazionale, su Mozia.
Alla fine, aveva ragione sua madre?
Assolutamente.
Quindi non stampavate solo il giornale?
Stampavamo di tutto, persino i primi libri su Marsala.
Chiudiamo questa intervista nello spirito con il quale l’abbiamo cominciata: Giornalismo local giornalismo nazionale?
Il futuro è il giornalismo local. Più saremo capaci di raccontare il territorio e la gente con cui condividiamo la nostra quotidianità e più saremo vincenti. Anche perché la carta stampata sopravvivrà nei tempi che cambiano. Inevitabilmente e ineluttabilmente. Su questo tema della stampa locale, che mi piace chiamare invece stampa territoriale, ricordo un importante convegno organizzato proprio dal “Vomere” nella Sala della Lupa a Montecitorio. Il vostro direttore fece il moderatore.
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