Il Ministero della Giustizia ha bocciato la delibera del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti (Cnog) dell’8 novembre scorso. La motivazione è l’illegittimità del provvedimento approvato, poiché il Cnog non ha potere normativo autonomo.
La delibera approvava i “Criteri interpretativi dell’art. 34 della legge 69/1963 sull’iscrizione al Registro dei Praticanti“.
Nello specifico, vi era contenuta la norma che, in via eccezionale, avrebbe permesso l’avvio del praticantato anche in assenza di una testata e di un direttore responsabile.
Il presidente Carlo Bartoli, per illustrare il contenuto della delibera, aveva sottolineato come essa fosse “ma una coraggiosa innovazione fatta in autoriforma”. La motivazione alla base del provvedimento sono i radicali cambiamenti nel settore dell’informazione.
“Oggi sono in tanti a lavorare negli uffici stampa […], che svolgono attività giornalistica ma non possono essere riconosciuti, in quanto non hanno una testata di riferimento”, affermava Bartoli. Lo scopo è andare incontro alla “nuova realtà”, composta da freelance e precari che ambiscono ad entrare a pieno titolo nel perimetro del giornalismo.
“Ovvio che auspichiamo di avere quanto prima riscontri positivi dal nuovo Parlamento per una riforma organica della professione“, aveva concluso.
La delibera aveva suscitato reazioni positive anche in PIUE (Pubblicisti Italiani Uniti per l’Europa), che aveva inviato una missiva richiedendo che il provvedimento Cnog fosse esteso anche ai pubblicisti.
La delibera aveva scatenato la reazione dei consiglieri nazionali di opposizione, che hanno criticato il provvedimento e sollecitato un “provvedimento protettivo” da parte del Ministero.
In aggiunta, hanno segnalato anche “la possibile difformità di trattamento a seconda che il Consiglio territoriale decida di applicare o meno i suddetti criteri, determinandosi così una potenziale discriminazione di aspiranti giornalisti sul territorio nazionale”.
Il Ministero, in risposta alle sollecitazioni dei consiglieri d’opposizione, ha scritto al Consiglio Nazionale dell’OdG.
La conclusione è che si tratti di una norma non consentita dal sistema dell’Ordine, che predetermina in modo organico le modalità di iscrizione al registro dei praticanti. Poiché il Consiglio nazionale non ha potere normativo autonomo che gli permetta di applicare deroghe alle fonti primarie, la delibera non è legittima.
In particolare, il Ministero rileva che “le censure svolte sull’operato dell’organo consiliare si incentrano, sotto vari profili, sulla violazione del principio di legalità, declinato in concreto quale rispetto della gerarchia delle fonti”.
Diverse sono le problematiche evidenziate dal Ministero in relazione alla delibera Cnog.
Secondo la Direzione Generale, il complesso normativo stabilisce in modo univoco i requisiti e le modalità per l’iscrizione nel registro dei praticanti. Le norme, infatti, sono già stabilite chiaramente dalla legge n. 69/1963 e dal d.P.R. 115 del 4 febbraio 1965. La modalità eccezionale delineata dal Cnog, invece, viene intesa come un aggiornamento dei criteri interpretativi dell’art. 34 della legge professionale.
Inoltre, è presente lo spettro della possibile discriminazione tra aspiranti giornalisti. La possibilità di prescindere dai criteri legali per l’iscrizione, infatti, è stata configurata come arbitraria e in capo agli Ordini territoriali. Questo potrebbe causare difformità sul territorio nazionale e violerebbe principio della certezza e dell’uniformità delle situazioni giuridiche.
In conclusione, “pur potendosi condividere l’esigenza palesata da codesto Consiglio di adeguare l’accesso alla professione alle profonde innovazioni che si sono verificate nel settore dell’editoria, preme tuttavia ribadire che si tratta di modifiche normative che non sono demandate alla potestà regolatoria dell’Ordine, il quale, a legislazione primaria invariata, non può configurare una modalità di accesso al registro dei praticanti difforme e contrastante con il quadro normativo vigente”.
Il Ministero, quindi, ha invitato il Consiglio Nazionale a revisionare i criteri interpretativi deliberati in modo da renderli coerenti con gli articoli 33 e 34 della legge professionale.
Articolo di C.C.
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