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Gli editori USA chiedono aiuto al Congresso per proteggere le notizie da Google e Facebook

I due social media catturano l’83% della crescita di tutti i ricavi degli annunci pubblicitari digitali e il 73% della pubblicità digitale statunitense.

La News Media Alliance (NMA), organizzazione che unisce oltre 2 mila quotidiani negli Stato Uniti, sta lanciando un ‘Comitato di azione politica (PAC)’ per chiedere al Congresso USA un ‘Safe harbor’ antitrust contro Google e Facebook, secondo quanto riportato dal sito Axios.com (sito specializzato in notizie e analisi dei media).

Cerchiamo di spiegare:
Il Political action committee (PAC) è un comitato di raccolta fondi per sostenere od ostacolare iniziative legislative, referendum, o singoli candidati.
Il Safe harbor (in italiano ‘porto sicuro’ o ‘approdo sicuro’) indica una norma o un principio giurisprudenziale secondo cui taluni comportamenti non sono considerati come violazioni di un principio o di una regola più generale.

Si tratta del primo PAC della storia americana lanciato dall’industria dei giornali ed è un chiaro segno che il settore sta cercando di sopravvivere nell’era del passaggio al digitale e alla crescita esponenziale dei social media.
Il perché di questa iniziativa lo spiega bene David Chavern (Presidente e Ceo della News Media Alliance) in un articolo pubblicato sul The Wall Street Journal e ripreso da Milano Finanza:

David Chavern (foto da www. newsmediaalliance.org)

«Le leggi antitrust statunitensi, – scrive Chavern – volte a promuovere una concorrenza leale e a prevenire la formazione di cartelli, rendono in realtà difficile per le case editrici tradizionali competere con i giganti della Silicon Valley. Secondo la legislazione vigente, ad esempio, gli editori non possono riunirsi per decidere assieme di non erogare i loro contenuti a meno che non ricevano un profitto dai loro investimenti».
«Il business delle case editrici è in sofferenza, – ribadisce il Ceo di NMA – ma non perché la gente non vuole più leggere notizie. Anzi, lo si vuole più che mai. Il problema è che il denaro generato da chi legge le notizie affluisce principalmente nelle casse di Google e Facebook, non verso gli editori i giornalisti  che producono un prodotto eccellente. Il duopolio ora cattura l’83% della crescita di tutti i ricavi degli annunci pubblicitari digitali e il 73% della pubblicità digitale statunitense, secondo un rapporto della CNBC. Di conseguenza, la crescita dell’audience online dei quotidiani non genera ricavi in linea. Secondo i dati di Pew Research Center, le entrate pubblicitarie dei giornali sono scese dai 22 miliardi nel 2014 ai 18 miliardi del 2016, anche se il traffico web per i primi 50 giornali statunitensi è aumentato del 42%».

A detta di Chavern: «Le notizie locali sono più a rischio. Man mano che la circolazione della stampa diminuisce, gli editori di giornali di comunità sono quelli che fanno più fatica ad adattarsi alle esigenze in continua evoluzione degli algoritmi di Facebook e Google. Tutti ritengono che le fake news siano un fenomeno nazionale, ma in assenza di un modello di business sostenibile per le case editrici, le voci selvagge e le teorie cospiratorie potrebbero diventare più influenti anche a livello locale».

«Anche gli editori esperti di tecnologia e presenti solo nel digitale se la passano brutta» – conferma l’autore dell’articolo e, a sostegno della sua tesi, cita una frase di Jonah Peretti, CEO di BuzzFeed: “Google e Facebook stanno pagando troppo poco i creatori di contenuti per il valore che essi forniscono agli utenti” e “questo pone i creatori di contenuti di alta qualità in una situazione di svantaggio finanziario e favorisce gli editori di scarso valore “.

«Google e Facebook – continua Chavern – sono diventati le principali autorità di controllo di fatto delle notizie, e i governi di tutto il mondo stanno cominciando a riconoscerne il pericolo. Alcune voci a sinistra e a destra chiedono che Google e Facebook siano regolati come se fossero utility. Ma c’ è una soluzione più semplice: esonerare gli editori da alcuni aspetti della regolamentazione antitrust Usa».

E’ questa la conclusione prospettata dal Ceo di NMA: «Cominciamo con il cambiare questa semplice iniquità: gli editori dovrebbero essere in grado di utilizzare la loro influenza collettiva nei negoziati con i colossi della tecnologia». E «Se le autorità antitrust non riescono a proteggere la società dall’influenza eccessiva dei trust moderni, il minimo che il governo può fare è levarsi di mezzo e lasciare che gli editori proteggano se stessi e i loro lettori».

uspi

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