‘Avvenire’: “A rischio soprattutto le testate minori”.
In un post del 12 gennaio scorso sul suo profilo Facebook, Mark Zuckerberg, presidente e amministratore delegato di Facebook Inc., ha annunciato l’aggiornamento dell’algoritmo che decide cosa farci vedere quando andiamo sul social network.
«Una delle nostre principali aree di interesse per il 2018 è assicurarsi che il tempo che trascorriamo tutti su Facebook sia tempo ben speso. Abbiamo creato Facebook – ha scritto Zuckerberg nel post – per aiutare le persone a rimanere in contatto e avvicinarci con quelle che ci interessano. Ecco perché abbiamo sempre messo gli amici e la famiglia al centro dell’esperienza. La ricerca dimostra che il rafforzamento delle nostre relazioni migliora il nostro benessere e la nostra felicità. Ma recentemente abbiamo ricevuto dalla nostra community il feedback sul fatto che i contenuti pubblici, post di aziende, marchi e media, stanno soppiantando i momenti personali che ci portano a connetterci di più l’uno con l’altro».
«Per questo motivo – ha annunciato il capo di Facebook – sto cambiando l’obiettivo dato ai nostri team di lavoro, passando dall’aiutare gli utenti a trovare contenuti rilevanti, all’aiutarli ad avere interazioni sociali più significative»
Ciò significa che d’ora in avanti gli utenti vedranno più post degli amici e dei familiari e meno notizie dalle pagine che seguono, siano esse di un giornale, una serie TV, un personaggio pubblico o un’azienda di qualunque settore merceologico.
Secondo Gigio Rancilio, giornalista del quotidiano ‘Avvenire’, in un articolo pubblicato il 13 gennaio scorso, così facendo, Facebbok «creerà di fatto l’ennesimo impero digitale (sempre più simile a un media che a un social vero e proprio) dove esisteranno in maniera sempre più netta utenti, artisti, politici, opinionisti e giornali di serie A e di serie B. Nei Paesi dove il nuovo sistema è già stato testato, infatti, alcuni giornali hanno avuto un calo degli accessi proveniente da Facebook del 60-70%. Salvo poi riguadagnare un po’ di attenzione quando hanno deciso di pagare Facebook per aumentare la visibilità dei loro articoli. Della serie: siccome siete giornali ‘minori’ o pagate o vi silenzio».
Pare, infatti, che i colossi dell’industria o giornali potentissimi come il ‘New York Times’ e il ‘Washington Post’ o, in Italia, ‘Repubblica’, ‘Corriere’, ‘Stampa’ eccetera, non subiranno alcuna penalizzazione.
Rancilio riporta una ipotesi di soluzione prospettata da PierLuca Santoro su DatamediaHub: «Occorre usare i social non per portare traffico al proprio sito ma per coinvolgere e convincere le persone della bontà e della rilevanza dei contenuti del proprio newsbrand. Lavorare per favorire le condivisioni dei propri contenuti affinché i contenuti del proprio newsbrand arrivino alle persone grazie ai loro contatti».
Una soluzione per aziende ed editori, ha concluso il giornalista di ‘Avvenire’ è quella di «creare gruppi, aperti o chiusi, legati alle proprie pagine. Ma funziona solo se sono composti da tante, tantissime persone».
E’ l’idea che ha portato l’USPI a fondare e sviluppare “uspinews”- l’informazione italiana: l’aggregatore dedicato alle testate on line e alle versioni digitali dei periodici associati, dove ad oggi sono presenti 430 testate, mentre continuano le adesioni.