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Editori e libri nello scenario del Covid-19, i risultati di una indagine ISTAT

Lo stop delle librerie e degli eventi letterari interessa due mila imprese. Ampie possibilità di sviluppo per il digitale. La produzione di contenuti digitali, un fatturato ancora limitato. Un quarto degli editori aderisce a una associazione di settore. Contenuto il ricorso alla esternalizzazione.

L’Istituto Nazionale di Statistica ha svolto una indagine sull’impatto che l’emergenza sanitaria, dovuta al coronavirus, sta avendo sul mondo della produzione, incentivazione e commercializzazione dell’editoria libraria, e sui possibili scenari futuri.

L’indagine dal titolo “Editori e libri nello scenario del covid-19” è stata pubblicata il 23 aprile scorso. Di seguito, ne presentiamo un ampio estratto:

Lo stop delle librerie e degli eventi letterari interessa 2mila imprese

Nel comparto “Edizioni di libri” operano in Italia circa 2mila imprese, che occupano complessivamente poco meno di 10 mila addetti e realizzano un fatturato di oltre 2,5 miliardi di euro all’anno. Nel 2018, sono 1.564 gli editori attivi che hanno prodotto 75.758 titoli cartacei.

Nello scenario del Covid-19 il settore editoriale italiano presenta due forti elementi di polarizzazione: dimensionale e geografica.

I grandi editori coprono quasi l’80% della produzione in termini di titoli e il 90% della tiratura: se i piccoli editori nel 2018 pubblicano in media quattro titoli all’anno, stampando ciascuno poco più di 5.500 copie, le grandi case editrici producono mediamente 254 opere librarie, con una tiratura di oltre 600 mila copie.

Oltre la metà degli editori attivi è localizzata nel Nord (31,4% nel Nord-ovest e 20,8% nel Nord-est), il 29,8% al Centro e il 18% nel Mezzogiorno (12,9% al Sud e 5,1% nelle Isole). In Lombardia e nel Lazio opera il maggior numero di editori attivi (20,3% e 17,3%): le due regioni insieme ospitano il 48,1% dei grandi operatori, il 38,6% dei medi e un terzo dei piccoli. In particolare, a Milano e Roma si concentra circa un quarto degli editori attivi e il 39,7% dei grandi marchi.

Anche sul fronte della commercializzazione, sulla base degli ultimi dati disponibili, dei 3.977 esercizi specializzati nel commercio al dettaglio di libri rilevati nel 2017, quasi la metà sono nel Nord-Italia (25,4% nel Nord-ovest e 19,1% nel Nord-est), il 23,4% nel Centro, il 22,1% nelle regioni del Sud e il 10% nelle Isole.

Proprio le librerie indipendenti rappresentavano – prima del Coronavirus – il canale maggiormente utilizzato dagli editori per la commercializzazione dei titoli pubblicati (con lievi differenze tra grandi, medi e piccoli editori), seguite da e-store italiani e librerie di catena.

Accanto alla chiusura delle librerie, stabilita per tutto il territorio nazionale, seguita dalla riapertura parziale a seconda delle indicazioni regionali, il divieto ancora in corso di organizzare manifestazioni pubbliche e quindi fiere, eventi e presentazioni letterarie, contestualmente alla chiusura di biblioteche, scuole e università, ha privato il settore di una importante opportunità di promozione dei prodotti editoriali

Gli eventi culturali costituiscono per gran parte degli editori un canale di commercializzazione non trascurabile. Oltre la metà degli editori attivi ha infatti partecipato a saloni o festival letterari in Italia e/o all’estero nel 2018 (52,0% in media); il 41,1% (46,0% fra i grandi) ha organizzato convegni, conferenze, seminari o festival letterari e il 27,8% (35,0% fra i medi editori) o iniziative di educazione alla lettura nelle scuole, nelle biblioteche o nelle librerie. Un quinto dei grandi editori ha partecipato a saloni e festival non letterari (25,4% in totale).

Complessivamente – tra i canali di commercializzazione rimasti aperti durante l’emergenza Covid-19 – gli e-store italiani risultano tra i più utilizzati mentre la grande distribuzione organizzata e i punti vendita generici (edicole, cartolerie, autogrill, uffici postali, ecc.) sono in proporzione meno frequentati.

Ampie possibilità di sviluppo per il digitale

Negli ultimi anni gli editori hanno investito in misura crescente nell’offerta di titoli in formato e-book: la percentuale di opere pubblicate a stampa disponibili anche in versione digitale è passata infatti in soli due anni dal 35,8% nel 2016 (circa 22 mila titoli) a quasi il 40% del totale delle opere librarie stampate nel 2018 (più di 30 mila titoli).

Il gap tra grandi e piccoli editori nell’offerta di e-book è molto ampio: se infatti dei 1.564 editori attivi del 2018, quasi uno su tre (il 29,3%) ha pubblicato almeno un’opera in formato e-book, l’incidenza varia dal 65% dei grandi editori, al 34,1% dei medi e al 15,6% dei piccoli.

Inoltre, se i grandi editori hanno reso disponibile ben il 45,8% dei propri titoli anche in un formato digitale, la quota di libri pubblicati dai medi e piccoli editori con una versione ebook non supera rispettivamente il 18,4% e l’11,1%. Differenze significative riguardano anche i contenuti editoriali: la versione digitale è particolarmente diffusa per i libri di avventura e i gialli (82,1%), i testi di informatica (62,9%) e la matematica (61,4%), i libri di attualità politico-sociale ed economica (56,1%).

Complessivamente l’offerta digitale è particolarmente accentuata per i testi scolastici, i quali rappresentano circa un quarto dei 30 mila titoli con un corrispondente formato e-book (rispetto 12,9% dei libri cartacei).

Il mercato dei libri esclusivamente in formato e-book, cioè senza una corrispettiva versione cartacea, è invece ancora poco sviluppato: solo il 5,6% degli editori di libri ha pubblicato titoli esclusivamente digitali. Anche in questo segmento predomina la grande dimensione d’impresa: più di un grande editore su dieci (11,4%) e solo il 2,5% dei piccoli hanno pubblicato opere esclusivamente in formato e-book. La materia prevalente delle opere pubblicate esclusivamente in formato e-book è la narrativa (il 44% delle opere pubblicate); i titoli di saggistica sono il 19,4%.

La produzione di contenuti digitali. Un fatturato ancora limitato

In campo digitale gli editori – soprattutto i grandi – non si limitano alla pubblicazione di e-book: digitalizzano testi in catalogo (22,1% degli editori attivi: 38,8% i grandi Vs 15,4% i piccoli), stampano su richiesta (18,5% in media; 31,2% i grandi), progettano banche dati e offrono servizi Internet (9,7% in media; 12,2% i grandi).

I grandi editori hanno incrementato negli ultimi anni la produzione di audiolibri (15,2%; +7,8 punti percentuali rispetto al 2016) e la collaborazione con piattaforme online per la loro fruizione (12,2%; +5,4 punti percentuali).

Il fatturato che deriva dalla vendita di contenuti digitali (e-book, banche dati e servizi web) è tuttavia ancora modesto: per il 92,6% degli editori attivi non supera il 10% del totale, indipendentemente dalla dimensione d’impresa. Soltanto per l’8,9% dei grandi editori la quota di vendita dei prodotti digitali è compresa tra l’11% e il 25% del fatturato complessivo.

Allo stato attuale, pertanto, le entrate derivate dai contenuti digitali sarebbero in grado di compensare solo in minima parte, e solo per i grandi editori, il calo delle entrate derivate dalla vendita dei tradizionali libri cartacei.

Un quarto degli editori aderisce a una associazione di settore

Per gli operatori di un settore estremamente polverizzato come quello editoriale, l’associazionismo può rappresentare una risorsa in più per fronteggiare la situazione critica dovuta all’emergenza Covid-19.

Nel 2018 il 24,9% degli editori attivi ha dichiarato l’adesione a una associazione di settore: una scelta operata da oltre la metà dei grandi editori (54,0%), ma decisamente ancora poco diffusa tra i medi (28,4%) e soprattutto tra i piccoli editori, che aderiscono nella misura di poco più di uno su dieci piccoli (13,9%).

Tra le motivazioni vi sono l’esigenza di essere informati e aggiornati sulle novità normative e commerciali (49,9% in media; 56,3% tra i grandi editori), ma anche la possibilità di fare rete con operatori della medesima dimensione d’impresa (33,5% in media; 38,0% fra i medi editori) e riuscire a rappresentare con maggiore forza le proprie istanze nei confronti delle istituzioni (23,1%).

Solo in misura minore la possibilità di ricevere supporto negli adempimenti amministrativi, o su temi che riguardano il diritto d’autore, la materia fiscale o le relazioni sindacali (17,1% in media; 20,3% tra le grandi case) o nella partecipazione a fiere nazionali e/o internazionali (17,6% in media; 23,3% fra gli editori medi).

Contenuto il ricorso alla esternalizzazione

La frammentazione del settore editoriale, composto in larga parte da piccole e micro imprese con strutture produttive esili, potrebbe rappresentare un elemento di debolezza e incidere negativamente sulla sua capacità di tenuta e di ripresa. D’altra parte, i dati disponibili sulla struttura delle imprese e dei processi produttivi indicano per il settore editoriale un minore ricorso all’esternalizzazione delle attività produttive rispetto ad altri comparti culturali. La maggior parte degli editori provvede, infatti, direttamente, con le proprie risorse lavorative e professionali interne, alle diverse attività che costituiscono il processo di produzione: la correzione delle bozze (72,4% degli editori), lo studio e la valutazione dei manoscritti proposti (69,5%), il supporto agli autori nella redazione dei manoscritti e la loro revisione (editing, peer-review, normazione dei contenuti) (66,5%).

Le attività per le quali invece è più diffuso il ricorso a risorse esterne e che potrebbero risentire maggiormente delle difficoltà dettate dall’emergenza economica sono la traduzione dei testi, per la quale un editore su tre ricorre all’esternalizzazione del servizio (33,6%), e l’impaginazione, la grafica e la realizzazione della copertina (25,6%).

uspi

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