Rapporto 2019 CPJ – Crescono le accuse per ‘fake news’.
Il Comitato per la protezione dei giornalisti (in inglese Committee to Protect Journalists, acronimo CPJ) ha pubblicato il suo Rapporto annuale che rivela il numero di giornalisti imprigionati in tutto il mondo: più di 250 sono dietro le sbarre per il quarto anno consecutivo.
A dicembre 2019, il primato è della Cina con 48 giornalisti dichiarati prigionieri. La Turchia è seconda con 47, mentre l’Egitto e l’Arabia Saudita sono in terza posizione con 26 ciascuno. Alle loro spalle Eritrea, Vietnam e Iran.
Se confrontati con gli anni scorsi, le stime (al primo dicembre 2019), pur drammatiche, registrano un lieve miglioramento: nel 2018 erano 255, nel 2017: 262, nel 2016: 273.
Nell’ultimo anno la Cina ha superato la Turchia. In linea con le direttive del presidente Xi Jinping che ha consolidato il suo controllo sui media locali, la Cina ha continuato a imprigionare i giornalisti non allineati con il regime. Gli arresti di giornalisti sono stati numerosi, soprattutto nella provincia dello Xinjiang, e alcuni di essi sono stati incarcerati per attività giornalistiche svolte anni prima.
La Turchia, che ha praticamente eliminato tutte le possibilità di un giornalismo indipendente con la chiusura di più di 100 mezzi di informazione, nel 2019 ha incarcerato 47 giornalisti. Il Rapporto ricorda però che dozzine di giornalisti che non sono attualmente in prigione nel Paese turco sono tuttora sottoposti a processo o appello e potrebbero ancora essere condannati, mentre altri che sono stati condannati in contumacia potrebbero dover affrontare lunghi periodi dietro le sbarre se facessero ritorno nel proprio Paese.
L’ atteggiamento dell’Arabia Saudita verso il giornalismo critico non ha quasi bisogno di presentazioni dopo l’efferato omicidio di Jamal Khashoggi. A dicembre 2019, 26 giornalisti sono in prigione nel regno arabo e per 18 di loro non si sa di cosa siano incolpati.
Lo studio di CPJ rivela che Il 98% dei giornalisti arrestati sono reporter locali. Tre dei 4 giornalisti stranieri detenuti in altri paesi sono detenuti in Arabia Saudita, uno in Cina. Tra i detenuti l’8% (in tutto 20) sono donne.
Più della metà dei detenuti sono giornalisti che pubblicavano online.
Mentre nella maggior parte dei casi le accuse mosse ai reporter riguardano una condotta ‘contro lo stato’, quest’anno è aumentato il numero di accuse legate a fake news, passato da 28 a 30. La crescita diventa decisamente più marcata se si guarda al 2012, quando secondo Cpj era solo 1 il giornalista incarcerato per questa motivazione. Da ricordare però, sottolinea il Rapporto, che in diversi Paesi, come Russia e Singapore, sono recentemente entrate in vigore leggi che puniscono per la pubblicazione di ‘fake news’.
«La detenzione di un singolo giornalista è una terribile ingiustizia che ha profonde conseguenze per la famiglia stessa, gli amici e i colleghi. – ha dichiarato Joel Simon, direttore esecutivo della CPJ – Ma la prigione di centinaia di giornalisti è una minaccia contro il sistema di informazione globale da cui dipendiamo tutti. I governi repressivi stanno usando queste tattiche crudeli per privare le loro stesse società e l’intero mondo di informazioni essenziali».
(Foto in alto: piazza della moschea di Idkah, a Kashgar, nella regione di Xinjiang, in Cina – tratta da https://cpj.org/)