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Amnesty International accusa Google e Facebook, “minacciano i diritti umani”

Amnesty International accusa Facebook e Google di rappresentare una minaccia sistematica per i diritti umani con la loro sorveglianza costante di miliardi di persone.

Il rapporto di 60 pagine Surveillance giants: how the business model of Google and Facebook threatens human rights – “I giganti della sorveglianza: come il modello di business di Google e Facebook minaccia i diritti umani” – è stato presentato giovedì scorso e spiega come il modello di business dei due OTT vada a scontrarsi con il diritto dell’individuo alla vita privata, ponendo “una minaccia sistemica per una serie di altri diritti, tra cui la libertà di opinione e di espressione, la libertà di pensiero e il diritto alla parità e alla non discriminazione”.

Il fulcro dell’accusa risiede nel dominio assoluto che Google e Facebook hanno costruito nel mondo digitale (facilitando il modo in cui le persone cercano e condividono informazioni, partecipano alle discussioni e quindi alla società attraverso le varie piattaforme di proprietà delle due maggiori società americane), raccogliendo e monetizzando i dati personali di milioni di persone. Per questo “per proteggere i nostri valori umani fondamentali nell’era digitale – dignità, autonomia, privacy – occorre un radicale revisione del modo in cui opera la grande tecnologia”, afferma Kumi Naidoo, Segretario generale di Amnesty International.

Bisogna considerare come gli stessi inserzionisti paghino queste piattaforme per veicolare messaggi pubblicitari mirati e targhettizzati, utilizzando senza scrupoli gli algoritmi presenti alla base di tali sistemi, “che trasformano enormi volumi di dati per ottenere caratteristiche incredibilmente dettagliate sulle persone e modellare le loro esperienze online”.

La ONG che dal 1961 concentra i propri sforzi sulla mobilitazione e l’attivismo per i diritti umani, sprona i governi ad “adottare misure urgenti per rivedere il modello aziendale basato sulla sorveglianza e proteggere i cittadini dagli abusi di diritti umani, anche attraverso l’applicazione di leggi e norme di protezione dei dati sensibili, nonché una regolamentazione efficace della tecnologia big-tech in linea con la legge sui diritti umani”, poiché chiunque, Google e Facebobk inclusi, deve avere la responsabilità di rispettare i diritti umani sempre e comunque.

Facebook e Google non devono essere autorizzati a dettare il modo in cui viviamo online. Queste società hanno scelto un modello di sorveglianza specifico che impone impatti sulla privacy, sulla libertà di espressione e su altri diritti umani. La tecnologia dietro internet non è incompatibile con i nostri diritti, ma il modello d’impresa scelto da Facebook e Google lo è”, conclude perentoria Kumi Naidoo.

Le due società accusate hanno contestato immediatamente le conclusioni del rapporto e le loro risposte sono state incluse nella relazione, a conclusione del lavoro di ricerca: “Riconosciamo che le persone si fidano di noi per le loro informazioni, e che abbiamo la responsabilità di proteggerle. Negli ultimi diciotto mesi abbiamo apportato modifiche significative e creato strumenti per dare alle persone un maggiore controllo sulle loro informazioni”, ha affermato un portavoce di Google, e poco dopo Steve Satterfield, direttore privacy e pubblicità di Facebook, gli ha fatto eco: “Il modo in cui noi raccogliamo informazioni, riceviamo e utilizziamo i dati, ampiamente spiegato e conosciuto dagli utenti, non può essere minimamente collegato a una sorveglianza governativa involontaria (e spesso illegale)”.

Si tratta di “sorveglianza onnipresente”, definizione che l’esperto di sicurezza informatica Bruce Schneier ha coniato in riferimento alla violazione alla privacy a cui assistiamo ogni giorno sulle piattaforme dei colossi americani. L’espressione, che compare nello studio della ONG, fa riflettere e dovrebbe spronare i governi quanto i singoli cittadini a trovare soluzioni ed a attuare decisioni importanti.

Irene Vitale

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