AGCOM, come i media rappresentano la donna in relazione ai crescenti fenomeni di odio e di cronaca nera

Angelo Marcello Cardani, Presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha svolto una Audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul “femminicidio, nonché ogni forma di violenza di genere” del Senato della Repubblica.

Fra gli ultimi atti dell’attuale Presidente AGCOM, Cardani, annoveriamo una Audizione informale resa davanti Commissione parlamentare istituita per monitorare e contrastare i delitti di femminicidio e di violenza sulle donne, in relazione all’aumento fenomeni di odio e di cronaca nera

Il tema ha assunto una particolare rilevanza nel dibattito pubblico, non solo per la trattazione che di questi casi viene fatta sui mezzi tradizionali ma anche per quanto circola in rete. Di seguito proponiamo una breve sintesi dell’intervento del Presidente.

L’Autorità, come ha sottolineato Cardani,  ha da sempre posto particolare attenzione nell’assicurare il rispetto dei diritti fondamentali della persona nel settore delle comunicazioni, e nell’esercitare la funzione di garanzie dell’utenza, contrastando ogni forma di discriminazione.

L’ambito di azione dell’Autorità è determinato dalla legge: tuttavia, i poteri derivanti dalle normative vigenti sono allo stato limitati soprattutto là ove si abbia riguardo al mondo on line. Appare necessario e urgente un intervento di rango legislativo volto a rafforzare i poteri dell’Autorità dotandola di strumenti di intervento efficaci anche nei confronti dei nuovi soggetti che si muovono nel settore dei media. La nuova Direttiva europea sui servizi media audiovisivi (Direttiva 1808/2018) rappresenta in quest’ottica una opportunità da cogliere per assicurare un’azione rapida ed efficace.

I servizi media audiovisivi, ha sollecitato il Presidente AGCOM,  dovrebbero essere maggiormente coinvolti e responsabilizzati, anche attraverso iniziative di auto o co-regolamentazione e progetti di media education. In proposito ha ricordato l’iniziativa del “Codice di autoregolamentazione su donne e media” che fu promossa nel 2013 da un comitato interministeriale guidato dal Dipartimento pari opportunità, a cui Agcom partecipò, ma che poi non completò il suo iter.

Attualmente le norme di riferimento per la tutela dei diritti fondamentali della persona si ritrovano nel Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (Dlgs. n. 177 del 2005); in particolare, l’articolo 3 include tra i principi fondamentali il rispetto della dignità umana, mentre l’articolo 32, al comma 5, prevede che tutti i servizi media audiovisivi non debbano consentire alcun incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità.

Agcom è intervenuta più volte con diversi provvedimenti, quali atti di indirizzo e di richiamo. Nel maggio scorso l’Autorità ha approvato, in esito ad un processo di consultazione pubblica, il Regolamento in materia di rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione e di contrasto all’hate speech (Delibera 157/19/CONS). L’adozione del Regolamento è nata dalla necessità e dall’urgenza di assicurare uno specifico presidio regolamentare e sanzionatorio  ai richiamati principi fondamentali alla luce del verificarsi di episodi sempre più frequenti di fenomeni di istigazione a forme di odio.

Nel corso degli ultimi anni l’Autorità ha registrato un crescente e preoccupante acuirsi, nelle trasmissioni televisive di approfondimento informativo e di infotainment delle principali emittenti nazionali, del ricorso ad espressioni di discriminazione nei confronti di categorie o gruppi di persone (target) in ragione del loro particolare status economico-sociale, della loro appartenenza etnica, del loro orientamento sessuale o del loro credo religioso. Sulla scorta di quanto previsto dal Regolamento, in presenza di violazioni delle disposizioni recate dal provvedimento, l’Autorità può avviare un procedimento sanzionatorio, all’esito del quale, nei casi più gravi, può diffidare il fornitore di servizi media a non reiterare la condotta illecita e,  in caso di inottemperanza, può applicare le sanzioni pecuniarie prevista dalla legge istitutiva dell’Autorità.

Nell’ambito del Regolamento, inoltre, l’Autorità intende promuovere, mediante procedure di co-regolamentazione, l’adozione, anche da parte delle piattaforme di condivisione di video, di misure volte a contrastare la diffusione in rete, e in particolare sui social media, di contenuti in violazione dei principi sanciti a tutela della dignità umana e per la rimozione dei contenuti d’odio. A tal fine l’Autorità ha già avviato un proficuo confronto con Facebook, riservandosi di promuovere iniziative analoghe con altre piattaforme.

L’Autorità era già intervenuta con la Delibera n. 442/17/CONS del 24 novembre 2017, attraverso una Raccomandazione “sulla corretta rappresentazione dell’immagine della donna nei programmi di informazione e di intrattenimento”.  La decisione dell’Autorità fu presa per le modalità con le quali era stato trattato in quel periodo sui mezzi di informazione il tema delle molestie sessuali, operate in particolare da personaggi di potere. Secondo l’Autorità, il tema degli abusi era stato affrontato in alcuni casi con modalità tali da trascurare i connotati informativi a favore di una spettacolarizzazione e generalizzazione di vicende che, alimentando immagini stereotipate della figura femminile, compromettevano i principi di correttezza, lealtà, completezza dell’informazione, nonché il rispetto dei diritti alla dignità, all’onore, alla reputazione, alla riservatezza della persona, sia nel caso delle vittime oggetto delle molestie che dei presunti molestatori. In particolare, l’Autorità aveva rilevato che “il tema delle molestie a sfondo sessuale – se non affrontato adeguatamente – rischia di perdere connotati informativi per scadere, in alcuni casi, nella colpevolizzazione della vittima che denuncia episodi risalenti nel tempo e in un indiretto attacco alla sua credibilità come persona e come professionista, specie quando la vittima è una donna”.

Per tale ragione, l’Autorità aveva raccomandato a tutti i fornitori di servizi media audiovisivi di “adottare ogni più opportuna cautela, in particolare nel corso delle trasmissioni in diretta e, in ogni caso, a valutare nella predisposizione dell’ordine degli interventi, i possibili rischi di incorrere nel mancato rispetto dei principi richiamati, impegnando direttori, registi, conduttori e giornalisti a porre in essere ogni azione intesa ad evitare dubbi o attacchi sull’attendibilità dell’informazione”.

Per quanto riguarda la rappresentazione delle donne nei programmi del servizio pubblico, nel nuovo contratto di servizio RAI, sulla cui esecuzione Agcom è chiamata a vigilare, si fa riferimento in diversi punti alla corretta rappresentazione di genere e al rispetto della dignità della persona. L’articolo 2 sancisce che la Rai deve assicurare “informazioni volte a formare una cultura della legalità, del rispetto della diversità di genere e di orientamento sessuale, nonché di promozione e valorizzazione della famiglia, delle pari opportunità, del rispetto della persona, della convivenza civile, del contrasto ad ogni forma di violenza”.

L’articolo 6 del Contratto di servizio dedicato all’informazione, prevede, tra l’altro, che “la Rai è tenuta ad improntare la propria offerta informativa ai canoni di equilibrio, pluralismo, completezza, obiettività, imparzialità, indipendenza e apertura alle diverse formazioni politiche e sociali, e a garantire un rigoroso rispetto della deontologia professionale da parte dei giornalisti e degli operatori del servizio pubblico, i quali sono tenuti a coniugare il principio di libertà con quello di responsabilità, nel rispetto della dignità della persona, e ad assicurare un contraddittorio adeguato, effettivo e leale e (…)”.

Il Contratto prevede, inoltre, un articolo specificatamente dedicato alla parità di genere (l’articolo 9) che al comma 1 stabilisce che “la Rai assicura nell’ambito dell’offerta complessiva, diffusa su qualsiasi piattaforma e con qualunque sistema di trasmissione, la più completa e plurale rappresentazione dei ruoli che le donne svolgono nella società, nonché la realizzazione di contenuti volti alla prevenzione e al contrasto della violenza in qualsiasi forma nei confronti delle donne”.

Diversi Corecom, inoltre, che sono organi funzionali che rispondono alle esigenze di decentramento sul territorio di alcune delle funzioni proprie dell’Agcom, hanno promosso iniziative sul tema “Donne e Media”. Tra queste si ricordano:

– Il Protocollo d’intesa su “Donne e media” proposto dal Corecom Emilia Romagna nel 2014 al fine di promuovere un’informazione attenta a valorizzare l’identità di genere e a sensibilizzare il territorio regionale sul tema degli stereotipi di genere e sulla necessità di non trasmettere messaggi discriminatori, offensivi o degradanti.

– Il Protocollo d’intesa “Donne e Media nel Lazio” proposto dal Corecom Lazio con la finalità di incoraggiare sui media regionali la diffusione di una informazione e di una rappresentazione rispettosa dell’identità femminile.

Inoltre, nell’ambito del monitoraggio del pluralismo politico nell’emittenza televisiva e radiofonica nazionale, pubblica e privata, sia nei periodi non elettorali che in quelli elettorali – effettuato al fine di verificare il rispetto della normativa vigente in materia di pluralismo e par condicio – l’Autorità distingue nelle rilevazioni il genere, quantificando la presenza rispettiva di uomini e donne.

Al fine di favorire la rappresentanza di genere tra le presenze dei soggetti politici anche nei media, il Parlamento ha introdotto una modifica alla legge sulla par condicio (22 febbraio 2000, n. 28), inserendo all’articolo 1 il seguente comma 2-bis: “Ai fini dell’applicazione della presente legge, i mezzi di informazione, nell’ambito delle trasmissioni per la comunicazione politica, sono tenuti al rispetto dei principi di cui all’articolo 51, primo comma, della Costituzione, per la promozione delle pari opportunità tra uomini e donne”.  La comunicazione politica è, pertanto, oggetto di un monitoraggio specifico per ogni campagna elettorale.

L’Autorità partecipa ai lavori dell’ERGA (European Regulators Group for Audiovisual Media Services), la piattaforma che riunisce tutti i regolatori europei dell’audiovisivo, nell’ambito dei quali è prevista l’analisi del tema “Gender Diversity” con la finalità di condividere le iniziative e le best practices messe in atto dalle Autorità europee e dai broadcaster così da individuare degli indicatori comuni in merito alle iniziative avviate in ciascun Stato Membro al fine di combattere le discriminazioni e promuovere la parità di genere nei media audiovisivi.

In relazione al tema del femminicidio, Cardani ha ricordato un’altra decisione adottata dall’Autorità nel 2015. In quel caso l’Autorità aveva deciso di archiviare una denuncia che era stata fatta nei confronti del programma Rai “Amore criminale”, in onda in prima serata, denunciato perché lesivo per i minori. “Amore Criminale”, è un programma che racconta storie di femminicidio, ricostruite con la tecnica della docufiction, sulla base della verità processuale e di testimonianze raccolte, in collaborazione con l’Arma dei Carabinieri e con la Polizia di Stato.  In quel caso, l’Autorità aveva rilevato che i punti critici contenuti nella puntata contestata di “Amore Criminale” apparivano controbilanciati da una serie di elementi contestuali che, nell’ambito dell’analisi del contenuto del testo televisivo, andavano tenuti in debita considerazione. In particolare, emergevano con chiara evidenza le finalità di denuncia proprie della trasmissione, volta a stigmatizzare il femminicidio e comunque la violenza agita sulle donne.

È necessario e urgente un profondo cambiamento culturale della società. La scuola è naturalmente in prima linea, ma anche i media hanno un ruolo fondamentale nella formazione del discorso pubblico, e possono influenzare i comportamenti sociali attraverso i modelli trasmessi. Pertanto, deve essere garantita una rappresentazione della donna davvero rispettosa della identità femminile e priva di qualunque pregiudizio e stereotipo o forma di discriminazione in ragione esclusiva dell’appartenenza di genere. Le discriminazioni di genere presenti nei media rischiano di trasmettere, a volte esplicitamente, a volte in maniera allusiva, subdola e subliminale, messaggi che possono incitare o comunque non contrastare il ricorso alla critica, all’offesa, alla sottovalutazione, se non addirittura alla violenza sulle donne.

Anche le modalità espressive e le tecniche comunicative con cui si raccontano le violenze sulle donne non sono esenti dai rischi descritti; è emerso che troppo spesso le narrazioni della violenza di genere hanno riproposto un linguaggio, contenuti e immagini che hanno determinato una cronaca superficiale e distorta e una percezione alterata dei fatti piuttosto che una corretta analisi di un fenomeno drammatico. Recenti le polemiche relative ad un quotidiano che in relazione ad un femminicidio ha utilizzato nel titolo di un articolo le parole “il gigante buono e quell’amore non corrisposto” per riferirsi al caso. Un esempio di come l’essenzialità dell’informazione, che è il femminicidio commesso, possa venire svilita a favore di un discorso costruito sulla storia e sulla personalità delle vittime e degli assassini, su una possibile motivazione se non addirittura una giustificazione, che fa perdere di vista la gravità del reato.

L’Autorità, ha garantito Cardani, è coinvolta a pieno titolo nello studio e nell’analisi della tematica con gli strumenti normativi attualmente a disposizione.

(Foto in alto, una manifestazione del 2016 contro la violenza sulle donne a Rio de Janiero, in Brasile, immagine del fotografo Marcio Freitas – tratta da www.pinterest.it)