Cala il consumo della tv tradizionale, la radio è la prima per credibilità. Web e FB meno usati per informarsi.
Nei giorni scorsi a Roma, presso la sede del CNEL di Villa Lublin, è stato presentato il 52° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese (2018). Il Rapporto interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese nella fase di attesa di cambiamento e di deludente ripresa che stiamo attraversando.
Guarda il video della presentazione (da Youtube – Censis, durata 1:07:29).
Premessa
Le Considerazioni generali introducono il Rapporto descrivendo la transizione da un’economia dei sistemi a un ecosistema degli attori individuali, verso un appiattimento della società.
Nella seconda parte, La società italiana al 2018, vengono affrontati i temi di maggiore interesse emersi nel corso dell’anno: le radici sociali di un sovranismo psichico, prima ancora che politico, le tensioni alla convergenza e le spinte centrifughe che caratterizzano i rapporti con l’Europa, gli snodi da cui ripartire per dare slancio alla crescita.
Nella terza e quarta parte si presentano le analisi per settori: la formazione, il lavoro e la rappresentanza, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, la sicurezza e la cittadinanza.
Esaminiamo, attraverso il relativo Comunicato stampa, i principali elementi messi in luce dal Rapporto e, in particolare, il capitolo «Comunicazione e media»:
Le diete mediatiche degli italiani nel 2018: una transmedialità matura
Nel 2018 la televisione ha registrato una leggera flessione dei telespettatori, determinata dal calo delle sue forme di diffusione più tradizionali (la tv digitale terrestre e la tv satellitare si attestano, rispettivamente, all’89,9% e al 41,2% di utenza tra gli italiani: entrambe cedono il 2,3% di pubblico nell’ultimo anno), mentre continuano a crescere la tv via internet (web tv e smart tv possono contare su una utenza del 30,1%, +3,3% in un anno) e la mobile tv (che è passata dall’1% del 2007 all’attuale 25,9% di spettatori, con un aumento del 3,8% nell’ultimo anno).
La radio continua a rivelarsi all’avanguardia all’interno dei processi di ibridazione del sistema dei media: complessivamente, i radioascoltatori sono il 79,3% degli italiani. Ma se la radio tradizionale perde 2,9 punti percentuali di utenza (oggi al 56,2%), come l’autoradio (il 67,7% di utenza, -2,5% rispetto allo scorso anno), la flessione è compensata però dall’ascolto delle trasmissioni radiofoniche via internet con il pc (lo fa il 17% degli italiani) e soprattutto attraverso lo smartphone (con una utenza al 20,7%, +1,6% rispetto allo scorso anno).
Gli italiani che usano internet passano dal 75,2% al 78,4%, con una differenza positiva del 3,2% rispetto allo scorso anno e del 33,1% dal 2007. Quelli che utilizzano gli smartphone salgono dal 69,6% al 73,8% (con una crescita annua del 4,2%, mentre ancora nel 2009 li usava solo il 15% della popolazione).
Gli utenti dei social network aumentano dal 67,3% al 72,5% della popolazione. Continuano ad aumentare gli utenti di WhatsApp (il 67,5% degli italiani, l’81,6% degli under 30), mentre più della metà della popolazione fa ricorso ai due social network più popolari: Facebook (56%) e YouTube (51,8%). Notevole è il passo in avanti compiuto da Instagram, che arriva al 26,7% di utenza (e al 55,2% tra i giovani), mentre Twitter scende al 12,3%.
I media a stampa invece ristagnano nella crisi, a cominciare dai quotidiani, che nel 2007 erano letti dal 67% degli italiani, ridotti al 37,4% nel 2018. Questo calo non è stato compensato dai giornali online, che nello stesso periodo hanno registrato un aumento dell’utenza solo dal 21,1% al 26,3%.
Invece, aggregatori di notizie online e portali web di informazione sono consultati dal 46,1% degli italiani.
Nel campo dei periodici, restano stabili i settimanali (il 30,8% di utenza, -0,2% in un anno) e i mensili (il 26,5% di utenza, -0,3%).
Anche i lettori di libri in Italia continuano a diminuire anno dopo anno. Se nel 2007 il 59,4% degli italiani aveva letto almeno un libro nel corso dell’anno, nel 2018 il dato è sceso al 42% (-0,9% rispetto allo scorso anno). Né gli e-book (letti solo dall’8,5% degli italiani, -1,1% nell’ultimo anno) hanno compensato la riduzione dei lettori.
La spesa delle famiglie per i consumi mediatici
L’andamento della spesa delle famiglie per i consumi mediatici nell’intervallo di tempo tra il 2007 (l’anno prima dell’inizio della crisi) e il 2017 evidenzia come, mentre il valore dei consumi complessivi ha subito una drastica flessione, senza ancora ritornare ai livelli pre-crisi (-2,7% in termini reali), la spesa per l’acquisto di smartphone ha segnato anno dopo anno un vero e proprio boom, di fatto triplicando in dieci anni (+221,6% nell’intero periodo, per un valore di quasi 6,2 miliardi di euro nell’ultimo anno), quella per l’acquisto di computer ha conosciuto un rialzo rilevantissimo (+54,7%), mentre i servizi di telefonia si riassestavano verso il basso per effetto di un riequilibrio tariffario (-10,4%, per un valore però di quasi 17,5 miliardi di euro nell’ultimo anno) e, infine, la spesa per libri e giornali ha subito un vero e proprio collo (-38,8%).
Il cambio di paradigma nell’informazione
Nella graduatoria dei media che gli italiani utilizzano per informarsi, telegiornali e Facebook sono ancora in vetta. Ma mentre i tg rafforzano la loro funzione (la loro utenza passa dal 60,6% del 2017 al 65% del 2018), nell’ultimo anno Facebook ha subito una battuta d’arresto (-9,1% di utenza a scopi informativi). Il calo ha coinvolto anche YouTube (-5,3%), Twitter (-3%) e la rete in generale (i motori di ricerca hanno perso il 7,8% di utenza a fini informativi). In particolare, Facebook perde il 15,8% degli utenti a scopi informativi tra gli under 30 (dal 48,8% al 33%), i motori di ricerca passano dal 25,7% al 16,5% (-9,2%), YouTube dal 20,7% al 17,6% (-3,1%), Twitter dal 10,6% al 3,9% (-6,7%).
Numerosi sono gli utenti delle tv all news (22,6%) e dei giornali radio (20%), mentre solo il 14,8% degli italiani ha letto i quotidiani cartacei negli ultimi sette giorni per informarsi (e solo il 3,8% dei giovani).
La credibilità dei media
La radio ottiene il primato della credibilità, con il 69,7% di italiani che la considerano molto o abbastanza affidabile. La televisione è considerata affidabile dal 69,1%. Anche la stampa viene considerata molto o abbastanza affidabile da una quota maggioritaria di italiani: il 64,3%.
Nella parte inferiore della graduatoria si collocano invece i siti web d’informazione: solo il 42,8% degli italiani li considera credibili. Ultimi in classifica i social network, ritenuti non del tutto affidabili dal 66,4% degli italiani. Sono gli anziani a essere i più diffidenti (78,2%), mentre il 45,8% dei giovani li considera molto o abbastanza credibili.
L’uso politico dei social network
I giudizi positivi sulla disintermediazione digitale in politica sono espressi da una percentuale che sfiora la metà degli italiani: complessivamente, il 47,1%. Il 16,8% ritiene che siano preziosi, perché così i politici possono parlare direttamente, senza filtri, ai cittadini. Il 30,3% pensa che siano utili, perché in questo modo i cittadini possono dire la loro rivolgendosi direttamente ai politici. Invece, il 23,7% crede che siano inutili, perché le notizie importanti si trovano nei giornali e in tv, il resto è gossip. Infine, il 29,2% è convinto che siano dannosi, perché favoriscono il populismo attraverso le semplificazioni, gli slogan e gli insulti rivolti agli avversari.
I nuovi riti, tic e tabù d ella digital life
Il 59,4% degli italiani che possiedono un cellulare evoluto dichiara che, invece di telefonare, preferisce inviare messaggi per comunicare. Il 50,9% controlla le notifiche del telefono come prima cosa al risveglio o come ultima prima di andare a dormire. Il 48,4% controlla le previsioni meteo nel corso della giornata. Il 30,1%, invece di digitare sulla tastiera, invia messaggi vocali. Un’altra piccola ossessione quotidiana riguarda il rapporto con la memoria. Il cellulare diventa una «protesi» utile ai nostri ricordi e alle nostre conoscenze, al punto che il 37,9% degli utenti, quando non ricorda un nome, una data o un evento, si affida alle risposte della rete per fugare ogni dubbio. E il 25,8% non esce di casa senza portare con sé il caricabatteria del cellulare.
I problemi principali dell’era digitale
La classifica dei principali problemi dell’era digitale secondo gli italiani riflette una visione molto individualistica, prevalentemente centrata su di sé e sull’impatto negativo che le tecnologie digitali possono eventualmente avere sul proprio vissuto quotidiano. Per il 42,5% il problema numero uno è la diffusione di comportamenti violenti, dal cyber-bullismo alle diffamazioni e intimidazioni online. Al secondo posto, il 41,5% colloca il tema della protezione della privacy. Segue il rischio della manipolazione delle informazioni attraverso le fake news (40,4%) e poi la possibilità di imbattersi in reati digitali, come le frodi telematiche (35,5%).
Solo a grande distanza vengono citati problemi di sistema, come l’arretratezza delle infrastrutture digitali del nostro Paese e l’inadeguatezza dei servizi online della pubblica amministrazione (14,9%), oppure le minacce all’occupazione che possono venire da algoritmi, intelligenza artificiale e robotica (10,5%).