Com’è noto, da oggi 1° luglio 2022 (segnatevi questa data) cessano le funzioni previdenziali dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola” per il lavoro dipendente.
In pratica, chiude l’INPGI1 e le sue funzioni vengono trasferite all’INPS. Non intendo affrontare il tema dell’immediata operatività dell’INPS, anche perché circolano voci attendibili sull’assenza di organizzazione in relazione alla nuova funzione. Evidentemente tutte le necessarie misure arriveranno e di sicuro l’INPS svolgerà al meglio il suo ulteriore compito.
Non intendo neanche affrontare la risposta alla domanda se per editori e giornalisti sia meglio così, cioè avere sul lavoro dipendente l’Ente di previdenza generale, oppure sarebbe stato meglio conservare INPGI1. Questa, in particolare, è una domanda che avrà una risposta nei prossimi anni.
La considerazione di base, necessaria, sta nel fatto che in questo modo le pensioni dei giornalisti sono salve, e questo è un risultato importante che il governo (e solo il governo, non fatevi dire cose imprecise) ha inteso perseguire fin dall’inizio.
Detto questo, l’osservazione iniziale che si può fare è quella che riguarda la fine di un’epoca, iniziata per opera di Benito Mussolini nel 1926 e continuata per 96 anni in forme diverse, e con spirito diverso nel secolo successivo.
Non sentiremo più parlare di maggioranze di settore che eleggono i dirigenti, di correnti, di orientamenti diversificati in base a criteri talvolta incomprensibili. Evidentemente gli schemi andranno a riproporsi in INPGI2, chissà.
Finisce un’epoca, si diceva. E finisce lasciando la forte sensazione che altre epoche dovrebbero finire, anche se sempre troppo tardi.
Con la speranza che le epoche che, invece, dovranno iniziare, inizino dal basso, dalla società, anche se in realtà tutto è già iniziato, in barba a chi pensa ancora di vivere nel XX secolo.