Google, già un paio di settimane fa, aveva avvertito gli editori: blocco della monetizzazione dei contenuti che “sfruttano” o “giustificano” il conflitto in Ucraina.
Sicuramente il blocco è stato proposto nell’ottica di tutelare gli investitori pubblicitari che non intendono associare i propri annunci a immagini e articoli che mostrano distruzione, morti e devastazione.
La posizione dominante nel mercato della pubblicità digitale dell’azienda di Mountain View non è in discussione. Google, infatti, ha quote oltre l’80% di query di ricerca per fornitura di server nell’erogazione di servizi di acquisto e vendita di pubblicità.
A più di quindici giorni dall’annuncio, le testate online si sono dovute piegare alle nuove linee guida di Big G. È calato, infatti, numero delle notizie sulla guerra. I giornali stanno tentando di diversificare i temi e tornare ad un “menù mediatico” più eterogeneo.
L’ennesima dimostrazione che l’informazione online deve seguire le regole dettate dal gigante statunitense, pena la demonetizzazione dei contenuti e quindi il venir meno della principale entrata delle testate online.
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