Le imprese italiane sono in ritardo rispetto alla media Ue nell’adozione di tecnologie d’Intelligenza artificiale. Che non si tratti solo di diffidenza emerge dai dati contenuti nell’ultimo Rapporto annuale dell’Istat.
Il report è stato presentato a Palazzo Montecitorio il 15 maggio scorso dal Presidente Istat, Francesco Maria Chelli. Il documento analizza gli scenari evolutivi dell’economia del Paese, la sua competitività nel contesto europeo, i livelli di occupazione e la qualità della vita degli abitanti.
L’analisi rivela che nell’ultimo triennio l’economia italiana è cresciuta più della media dell’Ue27 e di Francia e Germania. Ha dovuto, però, fare i conti con l’inflazione originata dall’aumento dei prezzi delle materie prime importate. L’adattamento ai cambiamenti relativi soprattutto alla transizione digitale è stato faticoso. Permangono, dunque, ritardi, nonostante il sistema produttivo e la Pubblica Amministrazione abbiano fatto consistenti progressi nell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione, anche a causa dell’accelerazione impressa dalla pandemia.
Stando al Rapporto Istat, a fronte dell’8% della media in Europa (11% solo in Germania), solamente 5 imprese italiane su 100 fanno uso di tecnologie a base AI. E questo nonostante l’apprezzamento dichiarato dall’80% degli imprenditori riguardo alle potenzialità dell’AI stessa. I costi ancora gravosi e il ritardo nell’acquisizione delle competenze necessarie sembrerebbero gli ostacoli più rilevanti allo sviluppo dell’Intelligenza artificiale in Italia.
In particolare, il Rapporto esamina l’evoluzione di sei tecnologie a partire dal biennio 2015-2016. Si tratta di cloud computing, Internet delle Cose (Internet of Things – IoT), analisi dei dati (Big Data), software gestionali multifunzione, robotica e stampa 3D. Le imprese che le hanno adottate hanno registrato aumenti medi stimati tra il 6 e il 10% per il fatturato e tra il 4 e il 9% per gli addetti. Anche la produttività e i salari medi dei lavoratori delle aziende adottanti sono, in genere, aumentati. Lo stesso dicasi per il numero dei laureati nell’ambito della forza lavoro impiegata. Secondo l’Istat, infatti, «la crescita dell’istruzione è direttamente collegata a quella dell’occupazione e alla performance per l’impresa e dell’intero sistema economico».
La carenza di professionisti nel settore delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione o Information and communication technology (ICT) appare, comunque, un problema comune a tutta l’Europa. In Italia essi rappresentano solo il 3,9% degli occupati, con scarse prospettive di sviluppo a breve termine.
Non stupirà, dunque, quanto emerge dal report: solo la metà degli addetti delle imprese italiane svolge il proprio lavoro servendosi di dispositivi connessi. E pochissime aziende adottano software specifici per gestire al meglio le informazioni e organizzare il lavoro in modo più efficiente.
Articolo di M.P.
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