Internet senza cookie di terze parti, uno studio del PoliMi analizza lo “scenario cookieless”

Google ha annunciato che dal 2022 interromperà su Chrome il funzionamento dei cookies in risposta alle richieste dei consumatori di maggiore trasparenza e chiarezza sull’utilizzo dei propri dati sul web. Ed è già allo studio un sistema alternativo. 

In realtà altri browser (Safari e Firefox, ad esempio) avevano già bloccato il sistema dei cookies, ma avendo quote di mercato più basse rispetto a Google non avevano preoccupato un granchè il mondo dell’adv online, che invece a breve vedrà spostati i propri equilibri e non di poco. 

Ma cosa sono e a cosa servono i cookies? I cookies sono nati oltre 25 anni fa e, nel corso del tempo, hanno permesso ai siti web di acquisire una serie sempre più ampia di informazioni sugli utenti e sulle attività che compiono all’interno delle pagine online. Le informazioni contenute nei cookies permettono, da un lato, ai siti Internet di personalizzare i propri contenuti in base agli interessi dell’utente e offrire quindi delle esperienze customizzate, dall’altro, agli advertisers di veicolare annunci targettizzati in funzione delle preferenze del navigatore.

Da alcuni anni, però, l’attenzione alla privacy dell’utente è diventata un tema centrale, con lo sviluppo di un quadro giuridico sempre più stringente in molti Paesi.

Uno studio dell’Osservatorio internet media della school of management del Politecnico di Milano (presentato durante il convegno «Internet Advertising: no cookie, no party?») ha cercato di spiegare la situazione e di comprendere quali saranno gli sviluppi una volta che anche Big G avrà effettivamente eliminato l’utilizzo di questi strumenti. 

I cambiamenti, quindi, si ripercuoteranno sull’intero settore dei media, dagli editori ai brand, e saranno cruciali per la filiera dell’Internet advertising. Nonostante questo, in Italia emerge però ancora uno scarso approfondimento del fenomeno

In particolare, si legge nel comunicato, quando si parla di un futuro senza cookies, si fa riferimento al blocco da parte dei browser dei third party cookie (cioè creati da domini differenti da quello in cui si sta navigando tipicamente) per il tracciamento cross-site, il retargeting, la profilazione dell’utente e il matching degli Id degli utenti tra diverse piattaforme.

L’eliminazione dei third party cookie interesserà le aziende investitrici e gli editori, questi ultimi in particolare ne risentiranno soprattutto per la possibile diminuzione delle loro revenue pubblicitarie

Il blocco dei cookie di terza parte non avrà impatti solo sulla delivery degli annunci e la targetizzazione degli utenti, ma ci saranno conseguenze anche per quanto riguarda l’ambito della misurazione.

“L’intera filiera del Programmatic advertising si troverà ad affrontare questi profondi cambiamenti, dal momento che proprio i cookie’ sono alla base del processo di cookie sync necessario per il matching tra le diverse piattaforme al fine di veicolare l’annuncio targettizzato all’utente” dichiara Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano.  “Negli anni questo settore ha aumentato la sua rilevanza all’interno dell’industry pubblicitaria proprio grazie alle sue alte potenzialità di targetizzazione, raggiungendo nel 2020 il valore di 588 milioni di euro in Italia, in crescita del 6% rispetto al 2019. L’impatto derivante dall’eliminazione dei cookie di terze parti su questa filiera sarà quindi molto significativo se gli operatori non si attrezzeranno per adottare soluzioni alternative”.
Si aprirà così un nuovo scenario “cookieless”, un terremoto per la data-driven advertising, del quale si conosce ancora molto poco.

Gli operatori del settore si stanno adoperando per adottare e sviluppare delle soluzioni alternative che la Ricerca dell’Osservatorio ha catalogato in tre macro-aree: “soluzioni di identità, contextual advertising e altre soluzioni AI-based.”

“Le soluzioni di identità lavorano sul processo di identificazione e tracciamento dell’utente lungo la filiera pubblicitaria tramite l’utilizzo di strategie diverse dai cookie di terze parti. Il contextual advertising (cioè la pubblicità mirata che veicola l’annuncio pubblicitario in funzione del contenuto della pagina web di destinazione) è profondamente cambiato rispetto al passato. In precedenza l’individuazione di contenuto si basava quasi esclusivamente sull’abbinamento di parole chiave; oggi l’elaborazione del linguaggio naturale consente una conoscenza più approfondita del contesto e del “sentiment” di ciascuna pagina, mentre il “machine vision” è in grado di analizzare anche immagini, video e audio e di comprenderne il significato”.

La terza soluzione su cui si sta lavorando, riguarda invece l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale “che sfrutta parametri diversi dal contesto e comportamento dell’utente, poggiando le basi su alcuni elementi specifici come formato, posizionamento dell’annuncio, audience del singolo sito, performance delle campagne passate ed engagement”. 

Lo studio, inoltre, evidenza come la maggior parte degli advertiser non ha ancora preso in considerazione né approfondito il fenomeno. Considerando il livello di preparazione delle aziende rispetto allo scenario cookieless, il 48% dei rispondenti lo ha valutato “assente/minimo” o “limitato”. 

“Si sta sviluppando nelle aziende un ‘senso di urgenza’ verso la cultura del dato, che passerà necessariamente anche attraverso le attività di valorizzazione del first party data, il maggior riconoscimento degli utenti sulla base di logiche probabilistiche e la consapevolezza che, in futuro, le decisioni si baseranno su meno dati, ma più precisi” Conclude Nicola Spiller, Direttore dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano “A fronte di tutto questo, si prospetta dall’altro lato un ulteriore rafforzamento del ruolo degli OTT e dei loro walled garden, chiamati così proprio perché sono ambienti chiusi all’interno dei quali i dati possono essere utilizzati in trasparenza per una miriade di servizi offerti dalla stessa piattaforma, oltre che appunto per fini pubblicitari”.