Pirateria editoriale su Telegram e WhatsApp, 9 indagati dalla Procura di Bari

La Procura pugliese ha concluso gli accertamenti, avviati nella primavera 2020. E ha identificato 9 amministratori di altrettanti canali Telegram, ora indagati per violazione della legge sul diritto d’autore.

L’inchiesta di Bari

La Procura di Bari – secondo quanto riporta l’Ansa Puglia – ha concluso gli accertamenti, avviati nella primavera 2020 dopo l’iniziativa dell’Autorità per le comunicazioni e l’indagine della Guardia di Finanza, identificando 9 amministratori di altrettanti canali Telegram e di decine di chat, ora indagati per violazione della legge sul diritto d’autore.

Gli indagati

Per la Procura gli indagati avrebbero diffuso illecitamente online migliaia di copie pirata di quotidiani, riviste, e-book. E poi anche file musicali, film e fumetti attraverso chat Whatsapp e canali Telegram.

L’inchiesta della Guardia di Finanza

L’inchiesta della Guardia di Finanza, coordinata dal procuratore facente funzione Roberto Rossi, ha portato in poco più di un anno alla chiusura di 329 canali Telegram sui quali venivano diffusi illecitamente i files pirata, ma solo per nove di questi è stato possibile risalire all’identità degli amministratori.

Il danno all’industria editoriale

La Procura stima un danno all’industria editoriale di 670mila euro al giorno, corrispondenti a circa 250 milioni di euro l’anno.

I canali Telegram avevano 580 mila utenti iscritti, «in aumento nel periodo di diffusione del virus Covid-19, e con un incremento dell’88% delle testate diffuse illecitamente».

Le ipotesi di reato

Nell’inchiesta sono ipotizzati i reati di riciclaggio, ricettazione, accesso abusivo ad un sistema telematico, furto e violazione della legge sul diritto d’autore.

Le indagini hanno accertato che «sulla app Telegram sono presenti diversi canali che mettono a disposizione degli iscritti, gratuitamente o pagando pochi euro al mese, quotidiani, settimanali, mensili, riviste periodiche, in formato digitale, normalmente disponibili soltanto dietro il pagamento di un corrispettivo».

Invece, altri utenti  accedevano al “servizio” in cambio della cessione dei dati personali a fine pubblicitario.

La tutela della libertà di pensiero

Così, «non vi è dubbio – sottolinea la Procura – che un fenomeno di queste dimensioni presenta una gravità particolare perché incide sulla tutela costituzionale della libertà di pensiero, base di ogni democrazia».