L’abdicazione alla cultura in Italia

DA CULLA DEL RINASCIMENTO A NAZIONE CON TRISTI PRIMATI CULTURALI

CHI È COLPEVOLE?

di Gianni Dell’Aiuto

I dati sono difficilmente contestabili, e l’evidenza che ne deriva è sotto gli occhi di tutti noi quotidianamente. Proviamo a partire da alcune tristi certezze.

Uno studio di Info Data e Sole 24 Ore del 2018 colloca l’Italia al quarto posto mondiale del paese con il maggior numero di analfabeti funzionali; un triste primato che deve far riflettere anche perché “sul podio” della non lusinghiera classifica, troviamo Giacarta, Cile e Turchia. Per chi non ricordasse, analfabeta funzionale è colui incapace di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana; in pratica l’incapace di comprendere, valutare e usare dati e informazioni. La perfetta descrizione di coloro che si vantano sui social di essere laureati all’università della vita o della strada e ne danno sfoggio.

Altro non lusinghiero dato: i test invalsi, e non solo per quest’anno, ci fanno sapere che uno studente su tre non è in grado di capire un testo in italiano, stessi risultati in inglese e matematica. Non poche testate giornalistiche, non solo durante i periodi di esami, hanno titoli quali “Metà maturandi analfabeti in matematica”; “Alle medie uno su tre non capisce un testo in Italiano”; “Risultati disastrosi degli studenti italiani”. Considerato il fronte trasversale di queste testate e gli scarsi tentativi di smentita, che assomigliano più a strenue difese di un’immagine ormai indifendibile, pochi sono i dubbi che le notizie siano false o esagerate. Per favore, su questo argomento blocchiamo chi vorrebbe abolire questi test perché i risultati non sono a loro confacenti.

Dalla fine degli anni sessanta ad oggi uno dei motivi conduttori nella scuola è stato quello di non lasciare indietro chi aveva difficoltà, mirando ad un’uguaglianza di risultati che nulla ha a che vedere, e che distorce contraddicendola, quella delle opportunità. Con buona pace delle eccellenze che vengono così represse e frustrate, nell’attesa dei più lenti e di chi rimane indietro.

Le conseguenze sono evidenti nel prosieguo degli studi e, ovviamente, nel mondo del lavoro. Prescindendo dal chiedersi come possano trovare accesso a lavori qualificati, non ci dobbiamo meravigliare se abbiamo il numero più basso di laureati non solo in Europa; se le basi sono queste, è meglio avere meno laureati ma di maggiore livello qualitativo. Ovvio che le eccellenze attuali cercano sbocchi all’estero.

Proviamo ad andare oltre e chiediamo a qualche studente se conosce il nostro eroe nazionale. Qualcuno si meraviglierebbe se invece di Garibaldi o Mazzini ci venisse risposto con il nome di un calciatore? Oltretutto il nome di Garibaldi sembra oggi continui a dividere l’Italia in pro e contro, come se non fosse mai finita la continua diatriba tra Guelfi e Ghibellini. Altra “chicca” che ben rende l’idea del livello raggiunto, le clamorose gaffe dei concorrenti dei giochi in TV: da chi colloca la Festa della Repubblica il 25 aprile a chi ha messo il Monte Bianco in Sardegna; la seconda guerra mondiale che termina nel 1900 e Otranto si trova in Florida. Non meravigliamoci dei congiuntivi sbagliati da chi ci rappresenta in Europa, è storia vecchia; quando Antonio Di Pietro si dette alla politica un suo fan era orgoglioso di essere rappresentato da chi, come lui, non li conosceva. E il pubblico a casa e in studio applaude.

Considerato infine che negli ultimi governi hanno ricoperto e ricoprono posti di livello alcuni personaggi, che sembrano quelli appena descritti, senza titoli, ignoranti delle materie di cui dovrebbero occuparsi, è logico che gli studenti di livello guardino altrove. E invece di focalizzare sulla dispersione scolastica (che dopo il diploma è sicuramente un bene), sarebbe opportuno riflettere sul numero di fuoricorso nel nostro paese: sembra diventata un’occupazione per molti che fa girare un’economia vera e propria, quasi come quella dei NEET, altra classifica dove siamo tristemente al primo posto: “not in education, employment or training”: giovani che non studiano, non lavorano e niente fanno per uscire da questo limbo.

Non si leggono libri, non si conoscono la grammatica, la matematica, la geografia e neppure la storia; il livello culturale sembra abbassarsi e senza timore di smentita possiamo dire che abbiamo abdicato alla cultura vera. Non chiamiamo cultura quella di massa, quella dei social, quella degli attacchi ai “professoroni” perché ci informiamo in rete.

Perché tutto ciò? E quali possono essere le ulteriori conseguenze? In un mondo sempre più velocemente tecnologico, che cosa potrebbe voler dire perdere l’attaccamento alla propria cultura? Cosa comporterebbe un ulteriore allontanamento dalle proprie radici? Lo disse Indro Montanelli, quando sentenziò che l’Italia non ha nessun futuro, perché un paese che ignora il proprio ieri, del quale non si cura, non può avere un domani. Il suo maestro, il quasi dimenticato Ugo Ojetti, definì l’Italia un paese di contemporanei, senza antenati né posteri, perché senza memoria. Forse mai definizione fu più azzeccata. E veniva detto circa un secolo fa. Inutile oggi citare poche attuali eccellenze o ricordare che abbiamo dato i natali a Dante, Michelangelo, Machiavelli e Leonardo che, caso “non” strano, per celebrare i 500 anni dalla morte viene celebrato più in Francia che da noi.

Da Ojetti la situazione, di cui già qualcuno si rendeva conto, è degenerata. Le cause? Qualcuno potrebbe dare la colpa alla TV, a internet o alla scuola; altri al sessantotto che ha svilito la scuola e, non ultimi, chi accusano il capitalismo di avere raggiunto livelli estremi di degenerazione.

O forse la colpa è nostra? O qualcuno è più responsabile di altri?

Quando è iniziato il processo di abdicazione alla cultura forse lo possiamo individuare in due momenti: il sessantotto e il sei politico con gli esami di massa, hanno rappresentato la prima fase; la seconda possiamo provare a collocarla nell’espandersi della TV commerciale e del trash che oggi imperversa, quando i programmi persero quel connotato educativo e didattico che caratterizzava la loro origine. Ma, probabilmente, il colpetto finale ad una valanga già pronta a cadere, è stato dato prima dell’abolizione dell’esame di seconda elementare e successivamente anche di quello di quinta elementare. Quando si volle individuare come target di elettore medio chi avesse studiato poco e non era certo il primo della classe.

Forse era quel tipo di elettore che veniva preparato e costruito con indigestioni di programmi spazzatura e basso livello? Un elettorato che veniva già geneticamente predisposto, alla comprensione di concetti ancora più semplici come un elementare vaffa.

Lo scalino più basso verso l’imbarbarimento culturale.