“Il giornale è il mio amore, Alberto Bergamini inventore del giornalismo”, il nuovo libro di Giancarlo Tartaglia

Nuovo studio del direttore della Federazione Nazionale della Stampa, ricercatore e storico del giornalismo in Italia, profondo conoscitore delle dinamiche normative e contrattualistiche inerenti al settore della stampa.

A fine anno 2018, Giancarlo Tartaglia ha offerto agli appassionati un’altra perla del suo lavoro di ricerca storica della genesi e dello sviluppo del giornalismo italiano.

Dopo “Francesco Perri. Dall’antifascismo alla Repubblica” (Gangemi Editore, anno 2013), “Lineamenti di diritto del lavoro giornalistico (anno 2016, scaricabile dal sito della FNSI) e, soprattutto dopo il complesso lavoro de “Un secolo di giornalismo italiano – Storia della Federazione nazionale della stampa italiana, 1877-1943” (Mondadori Università, anno 2008), l’attenzione dell’autore si è rivolta alla figura di Alberto Bergamini (1871/1962), colui che ha “inventato” il giornalismo moderno.

Giancarlo Tartaglia (foto da www.fnsi.it)

Bergamini iniziò da giovanissimo a collaborare con Il Resto del Carlino. Nel 1891 passò al Corriere del Polesine, e nel luglio 1898 Luigi Albertini, segretario di redazione del Corriere della Sera, che lo aveva conosciuto due anni prima, lo segnalò a Eugenio Torelli Viollier, che lo assunse.

Nel 1901, Bergamini passò al nuovo quotidiano romano “Il Giornale d’Italia” (il cui primo numero uscì il 16 novembre 1901) con il doppio ruolo di gerente responsabile (direttore responsabile) e socio accomandante (amministratore).

Bergamini è passato alla storia del giornalismo italiano per l’invenzione della Terza pagina (lo spazio che i quotidiani italiani dedicano alla cultura) e per l’adozione, in essa, del carattere tipografico elzeviro. La prima «terza pagina» uscì, il 10 dicembre 1901, in occasione della prima della tragedia Francesca da Rimini di Gabriele D’Annunzio, con protagonista Eleonora Duse, presso il Teatro Costanzi di Roma.

All’avvento del fascismo, Bergamini non tardò a notarne la carica sovversiva ed ebbe presto uno scontro personale con Benito Mussolini. Nel novembre 1923, dopo 22 anni ininterrotti nel ruolo di direttore ed amministratore del quotidiano, Bergamini si dimise: aveva capito che se avesse continuato in libertà il proprio lavoro sarebbe andato incontro a gravi inconvenienti con il Governo. Oltre a lasciare la direzione, cedette anche le sue quote della società editrice, che a quel tempo vendeva in media 300.000 copie.

Alberto_Bergamini (foto da wikipedia.org – pubblico dominio)

Il 27 febbraio 1924 subì un’aggressione mentre rientrava in casa, rimanendo ferito da colpi di pugnale. Ritenendo di essere stato vittima di un delitto a sfondo politico, decise quindi di lasciare Roma. Si dimise da presidente dell’Associazione Nazionale della Stampa (ove era stato eletto il 1º ottobre 1923) e si ritirò a Monte Folone (comune di Gubbio).

All’indomani del 25 luglio 1943, data che sancì la caduta del fascismo, fu richiamato alla direzione del Giornale d’Italia. Inoltre fu eletto vicepresidente della ricostituita Federazione Nazionale della Stampa (FNSI).. Dopo l’8 settembre, però, fu arrestato dai tedeschi e condotto in prigione. Nel febbraio 1944 riuscì ad evadere e si rifugiò in Laterano. All’indomani della Liberazione di Roma, il 7 giugno 1944 fu eletto presidente della FNSI. Nel 1946 fu eletto all’Assemblea costituente e successivamente nominato senatore.

Nel 1951 pubblicò una Storia del «Giornale d’Italia», con nota introduttiva di Salvatore Valitutti, in cui rievocò le circostanze che avevano prodotto la nascita del quotidiano e le vicende che ne avevano accompagnato la crescita. Dal 30 aprile 1956 al gennaio 1962 fu di nuovo nominato presidente della Federazione Nazionale della Stampa, carica che mantenne fino al gennaio del 1962. Morì nel dicembre dello stesso anno.