L’Intelligenza Artificiale (IA) è ormai approdata e si è largamente diffusa nel mondo editoriale. Nonostante sia alquanto usata con le modalità e per le finalità più disparate, qualche testata rimane ancora dubbiosa sugli effettivi vantaggi a lungo termine di questa nuova tecnologia.
Per quanto il dubbio persiste, e non solo in ambito giornalistico, moltissimi grandi editori hanno investito capitali imponenti per cavalcare l’onda del progresso.
Nuovi progetti revenue-share
Der Spiegel, WordPress, Texas Tribune e Financial Times, Axel Springer, The Atlantic sono solo alcuni dei nomi che stanno investendo in nuovi progetti IA pensati appositamente per il lavoro editoriale.
Stiamo parlando di Perplexity AI e Prorata.ai che hanno firmato un accordo con le testate sopracitate che ottengono una quota di entrate ogni volta che un utente pone una domanda al modello di IA, il quale cita uno degli editori nella risposta.
Significa che ogni volta che un articolo viene citato, l’editore viene pagato. Una situazione totalmente diversa dagli accordi che recentemente si erano visti, come quelli tra OpenAI e grandi testate e trasmittenti radio e tv. Infatti, queste licenze, piuttosto che accordi, davano la possibilità di usufruire dei contenuti degli archivi delle testate giornalistiche per addestrare le IA delle grandi Big Tech, dando adito a discussioni su problemi di copyright.
Ma non solo. Questi due nuovi programmi sono pensati anche per i piccoli editori, fornendo pluralismo e garantendo la qualità delle notizie, oltre che proteggere e pagare adeguatamente editori e giornalisti.
Il gioco vale la candela?
“In breve, i timori degli investitori possono essere ridotti a: tutto questo vale davvero qualcosa? O è solo un altro oggetto luccicante che l’industria sta inseguendo per riportare in vita i suoi sogni di crescita infinita prima di abbandonarli e passare alla prossima grande novità?”, chiede Claire Duffy, autrice della rubrica Business della CNN.
Lo scetticismo verso gli importanti investimenti nel mondo dell’IA, seppur in diminuzione rispetto al suo lancio sul mercato, rimane alquanto diffuso.
“Nei 18 mesi trascorsi da quando ChatGPT ha dato il via a una corsa agli armamenti basata sull’IA, i giganti della tecnologia hanno promesso che la tecnologia è pronta a rivoluzionare ogni settore e l’hanno usata come giustificazione per spendere decine di miliardi di dollari in data center e semiconduttori necessari per eseguire grandi modelli di intelligenza artificiale. Rispetto a questa visione, i prodotti che hanno lanciato finora sembrano un po’ banali: chatbot senza un chiaro percorso verso la monetizzazione, misure di risparmio sui costi come la codifica e il servizio clienti basati sull’intelligenza artificiale e la ricerca abilitata all’intelligenza artificiale che a volte inventa cose“, continua Duffy.
Eppure, con questi due nuovi progetti sembra cambiare qualcosa nel monopolistico gioco di produttori di IA. Questi due (per ora) sconosciuti programmi stanno offrendo una tecnologia che fino ad ora potevano permettersi quasi esclusivamente i grandi editori. Che si stia facendo il primo passo verso una generale democratizzazione dell’IA?
Articolo di T.S.