5G: l’Italia è nel gruppo di testa Ue per lo sviluppo, ma servono più investimenti

Il nuovo rapporto sulla Filiera delle Telecomunicazioni in Italia è stato presentato oggi nella sede dell’Università Luiss da Asstel-Assotelecomunicazioni e le organizzazioni sindacali Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil. L’aspetto positivo, emerso dallo studio, è che l’Italia è “nel gruppo di testa” in Europa per quanto riguarda lo sviluppo del 5G. Ma, come sempre, c’è anche il rovescio della medaglia: il nostro Paese è tra gli ultimi per quanto riguarda invece l’utilizzo dei servizi digitali. 

Il presidente di Asstel, Pietro Guindani, ha spiegato durante la presentazione che il 2019 è stato l’anno dello sviluppo pre-commerciale di servizi integrati per segmenti verticali del settore privato e pubblico, destinati ad abilitare funzionalità “intelligenti” nel settore della mobilità e della logistica, dell’industria e della robotica, della sanità e della sicurezza. 

Nella classifica Desi, l’Italia si è così piazzata al terzo posto per numero di sperimentazioni tecniche, dopo Spagna e Germania e quarta insieme alla Francia per numero (14) di città abilitate ai servizi 5G.

“In questo settore l’Italia è partita molto presto, ma è fondamentale la collaborazione pubblico-privato”, ha proseguito Guindani. “Come regolatore nella manifattura lo Stato è attore, ma è protagonista nei servizi al cittadino in cui i servizi 5G possono fare la differenza. Lo sviluppo servizi è fondamentale, ma devono essere adottate dalla popolazione. La pagella è negativa, siamo ultimi in termini di cittadini che usano l’e-government, nonostante una buona offerta, siamo indietro nei servizi online, ma anche nel mondo delle imprese che vendono online o utilizzano big data”, ha concluso poi. 

Infatti, i cittadini italiani che utilizzano servizi di e-Government, conferma il rapporto, sono solo il 32%, meno della metà della media europea pari al 67%, mentre le imprese che analizzano Big Data sono solo il 7%, rispetto alla media europea pari al 12%. 

L’auspicio è che si investa più fondi, magari quelli del Recovery Fund, per ridurre il digital divide e per aumentare le competenze, nuovi strumenti per rispondere all’evoluzione del mondo del lavoro, con investimenti mirati e accorti che possano risanare la spaccatura digitale del Paese che ora vede delle zone quasi totalmente isolate digitalmente parlando.